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Elettricità a Milano

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Schegge Informali e veloci di:

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  • Imprenditoria,
  • Costume,
  • Elettricità,

nella Milano postunitaria da Villafranca a dopo: fino alla Carlo Erba di Barbagelata e Bottani…,

Per non dimenticare. O per conoscere finalmente. Una “Recherche dell’elettricità perduta”, della quale, a Milano, siamo – o dovremmo fieramente e consapevolmente essere – i figli.

Un viaggio nel tempo in compagnia di figure come:

 

E naturalmente Lui:

Ercole Bottani

 

Secondo un percorso che, a livello di schegge veloci, può essere così sintetizzato.

L’elettricità a Milano

Parleremo di Santa Radegonda, della Carlo Erba e della Centrale di Paderno, ma lo faremo in modo contestualizzato:

  1. Correlando queste iniziative agli anni postrisorgimentali ed alla voglia di rinascere di Milano;
  2. Ricordando come quei patrioti risorgimentali di II Generazione, a Milano, seppero vincere la loro II Guerra di Indipendenza;
  3. non sulla punta delle baionette o con le schioppettate (pur indispensabili per la Generazione precedente) ma con la dottrina ed il presto e bene di chi ha realmente talento e voglia di fare.
  4. Ricordando la parallela evoluzione dell’Elettromagnetismo Teorico (Maxwell &C),
  5. Ponendo in luce le problematiche implicite nella transizione verso il versante applicativo (Ingegneria);
  6. Sottolineando il contributo italiano;
  7. Analizzando il contributo milanese.

All’indomani di Villafranca

Nel 1859, con Villafranca, a Milano: si chiudono i mercati del Veneto, di Vienna e delle Terre Danubiane; Nel contempo la non attuata congiunzione ferroviaria con il Piemonte, con la Liguria e con l’Emilia: non permette alla città di assicurarsi tutti quei vantaggi che, fisiologicamente, la posizione geografica le assegna.

Con l’ingresso definitivo, nel 1861, nella nuova realtà unitaria, Milano perde dunque il proprio consolidato ruolo di capitale politica ed amministrativa.

In tali condizioni non le resta che giocare, in un futuro dai contorni molto incerti e di difficile previsione, un nuovo eventuale ruolo: quello di grande centro economico.

  • A tutto questo si aggiungono gli effetti della:
  • Crisi della viticultura;
  • Gelsibachicultura (ancora più gravi);
  • Guerra civile americana (scarsità delle materie prima) sulla seta;

Vi erano nel contempo,  con l’unificazione in atto, gli inevitabili problemi legati al “Piemontesismo”. In particolare: la Direzione della Società per le Ferrovie dell’Alta Italia Viene trasferita in blocco a Torino Il che provoca, nell’occupazione cittadina, un buco di 4000 unità che lascia sfitto un intero quartiere di alloggi a Porta Nuova.

Ma esaminiamo in modo ravvicinato la situazione classificando sommariamente le attività svolte nella Città:

Industrie che si collegano ai consumi urbani:

  • (a) abbigliamento (soprattutto bottoni…),
  • (b) trasporti (carrozze),
  • (c) tipografia,
  • (d) saponi,
  • (e) candele,
  • (f) pelli.
  • (g) strade ferrate (che danno lavoro a 240 fabbri);

Quanto al settore che avrebbe dovuto essere il più forte ed il più trainante, quello della meccanica, esso era in realtà, ancora sul finire degli anni ’50, il più debole.

Esso riguardava infatti in modo esclusivo i sussidi all’agricoltura:

  • torchi,
  • mulini,
  • pompe,
  • motori idraulici,
  • caldaie.
  • Sul finire degli anni ’50 la meccanica milanese era dunque una risposta ai soli bisogni interni, fuori da ogni prospettiva di autonomia rispetto alla dominanza dell’agricoltura. estranea ad ogni valorizzazione in grado di farne un prodotto competitivo rispetto ai mercati esterni.

Quanto alle dimensioni ed all’assetto produttivo, il modello era e restava quello della bottega: assenza di ogni possibile suddivisione del lavoro, di impianti e di macchinari moderni, di produzione in serie.

Troppo spesso l’industria era poi solo artigianato di lusso estraneo alla specializzazione industriale ed incapace di presentarsi come tale sul mercato. (È questo, in particolare, il caso delle carrozze).

La “Milano industriale”, se è lecito usare questo termine, era dunque una realtà introflessa: bastevole alle proprie – più che modeste – domande interne.

In realtà, se l’unificazione politica esigeva una “Milano Industriale”, la vocazione “vera” di Milano – per come, in ragione della sua posizione geografica e dei sistemi di comunicazione limitrofi, essa era andata forgiandosi e consolidandosi per tutto il Settecento e l’Ottocento – appariva, assai più banalmente, commerciale;

Dinamismo dunque sì, ma legato ad un’industria serica che, proveniente dal contado, era destinata, agli effetti della trasformazione, altrove.

Con una prospettiva legata alla propria collocazione geografica: far da tramite alle merci che, giunte a Genova e Trieste, dovevano approdare ai mercati europei.

Non si dimentichi inoltre che a Milano regnava una carenza di cultura industriale che andasse oltre la mera curiosità (propria di un centro cosmopolita legato ai grandi commerci e quindi aperto alla circolazione delle idee e delle notizie; Analoghe considerazioni valevano per l’innovazione scientifico – tecnica, per la produzione e l’organizzazione della produzione di massa.

per Milano Il primo lustro post – unitario [1865, con il ponte di Piacenza, 1866, con una qualche ripresa della seta] è dunque un momento di attesa e di grande incertezza.

In attesa di una strategia industriale ed energetica che conferisca a Milano la giusta leadership, ciò che, nel brulichio postunitario, per ora colpisce l’attento osservatore straniero è l’operazione di: «embellissement de Milan»

In effetti gli anni di quel primo lustro vedono una amministrazione comunale impegnata nella sistemazione urbanistica e nel tentativo di dare alla città una veste moderna.

In questo senso, pur con le innegabili difficoltà, la città offre una buona immagine di sé, tutto sommato non dissimile da quella delle altre città d’Europa.

Prende corpo un aspetto “vagamente frivolo”: l’illuminazione elettrica.

«[Milano] ne laisse rien à désirer. Il peut rivaliser avec celui des plus grandes capitales»

Ma, nonostante questa polarizzazione iniziale, di tipo commerciale, l’esigenza di creare una generazione di tecnici in grado di imprimere alla Città una forte accelerazione nel campo della formazione tecnico-scientifica e della conseguente produzione industriale moderna, si avverte
sempre di più.

In tale ottica, nel 1863, affiancandosi alla teresiana “Società di Incoraggiamento d’arti e mestieri”, quale precisa attuazione di una consapevole strategia di supporto al non più rinviabile processo di sviluppo industriale, nasce il Politecnico. A reggerlo è chiamato un matematico di chiara fama: Francesco Brioschi (che, per meglio assolvere al suo non facile compito, ha trascorso lunghi periodi, come osservatore, nelle università tedesche).

La prima sede del “Collegio Brioschi”, nel ‘63, davanti al Naviglio, è l’Archivio di Stato, il Collegio Elvetico (dai milanesi soprannominato il “Palazzo della Contabilità”). Rivediamolo.

 

Tre anni dopo ci si trasferisce in fondo alla stessa via, in Piazza Cavour, nel bellissimo Palazzo della Canonica. Rivediamolo.

 

Nel 1927 il Palazzo della Canonica sarà abbattuto per far posto al palazzo del giornale di Mussolini.

sempre nel 1863, con una contemporaneità non occasionale nasce il Tecnomasio Italiano. Diventerà nel breve tempo la più quotata industria elettrotecnica milanese.

Non dimentichiamoci la successiva sede del Poli: quella (1927) di Piazza Leonardo. Godiamocela – tutto ordine, pulizia e rispetto del verde – “lieta e pensosa di quel vago avvenir che in mente aveva”, in un posato d’epoca (fa pensare a Gloria Swanson in “Sunset Boulevard”)

La Milano postasburgica vive il Suo II Risorgimento: E prende atto così della Sua “ritrovata natura” scientifico- tecnica: Per questo, nel 1871, fa la Sua prima Expo:

gli esiti, pur non superlativi – la maggior parte degli espositori è locale e la tecnologia riporta a “costruzioni e arti usuali” -, inducono a proseguire con accresciuta fiducia. È comunque il segno tangibile ed oggettivo che la città, nel frattempo, sta progredendo sul piano tecnologico ed ormai sta superando se stessa. Il Poli ed il Tecnomasio, ma anche la Breda ed in seguito la Marelli, vanno alla grande.

Lontana dai giochi dei  politicanti, Milano si faceva dunque strada con la “sola” forza dell’innovazione, dell’impegno e del talento. Alla mezzanotte del 18 marzo, tutta la città si riunisce in Piazza Duomo per assistere al primo esperimento di illuminazione elettrica con una lampada ad arco posta in cima ad una torre appositamente eretta in piazza del Duomo.

Il 2 maggio era stato approvato il prolungamento della linea di tramway Milano – Monza da porta Venezia a S. Babila: era il primo tram nel centro di una città.

Il 5 maggio 1881 (7000 espositori provenienti da tutta Italia), alla presenza di Umberto e Margherita di Savoia, giunti appositamente da Roma, il ministro di turno inaugurava l’Expo – Milano ’81.

Facendo seguito al già citato primo esperimento di Piazza Duomo, la Galleria Vittorio Emanuele viene illuminata con 25 lampade ad arco Siemens, pari ad una potenza complessiva di 20.000 candele; il flusso luminoso non è costante ed ogni otto ore bisogna sostituire i carboncini delle lampade, ma pazienza, va bene anche così.

Pur con un’allarmante assenza di materie prime e soprattutto con una terribile penuria di risorse energetiche, l’Expo di Milano dell’81 segna dunque, in modo definitivo, la nascita della Milano (e dunque dell’Italia) industriale;

Era la “prima volta” dell’Italia tra le potenze europee…;

Ed il “posto al sole” veniva conquistato non con l’arroganza ottusa delle baionette o con l’astuzia delle simonie, ma – figlia di un artigianato antico che ha saputo rinnovarsi – con l’acquisita capacità tecnica, con il contenuto di una sapiente innovazione;

E, in ogni caso, con l’impegno quotidiano.

In quel lontano (ma non dimenticato) 1881, Milano combatte – e vince – il suo II Risorgimento, diventando un paese moderno grazie anche ai suoi ingegneri, ai suoi industriali, ai suoi innovatori, alla creatività della sua borghesia. Ed in egual misura alla magia dei suoi operai, fieri di lavorare al Tecnomasio – Cabella e vincolati al “presto e bene” che, con Lui, l’ineguagliato maestro pupillo di brioschi, avevano coniato e diviso.

Proprio per questo non fu per nulla casuale (e dovrebbe oggi essere motivo di compiaciuta riflessione postasburgica: Società di Incoraggiamento Arti e Mestieri) la nascita quasi – simultanea di una Scuola per Operai sia in Carlo Erba che in Tecnomasio. Davanti all’elettricità, Milano necessitava di maestranze ben addestrate e ben motivate: il problema di andare ad arruolare questi bravi operai all’estero, mentre, con il Poli, la questione ingegneri era risolta, andava superato.

Il “mito di Milano”, della città  intraprendente in grado di “far da sé”, capace di operare al meglio nonostante il disinteresse e gli ostacoli più o meno mascherati frapposti da Roma, il mito della “capitale morale” contrapposto a quello della “capitale reale” che non esercita il suo compito può essere fatto originare proprio da questo evento. Insomma, pur con tutte le difficoltà, la situazione, in quei primi anni ’80, appariva in movimento.

Il Tecnomasio Italiano era passato sotto la guida scientifico – tecnica di uno dei pupilli di Brioschi: Bartolomeo Cabella;

Di lì a poco, a conferma della non occasionalità della scuola italiana di macchine elettriche, sarebbero nate le “dinamo Cabella”, cui si sarebbe “liberamente ispirato” Siemens per avviare la produzione industriale delle macchine dinamo elettriche a collettore;

 

Preso atto dei contenuti del Paradigma Maxwelliano, tenuto conto delle esigenze sempre più impellenti di una II Rivoluzione Industriale decisa a sostituire la “potenza motrice del fuoco” (Fourier) con l’“ancella fedele” (Capitano Nemo), intenzionata cioè a sostituire il vapore con l’elettricità, superata nel contempo la “fase eroica”dei sedicenti “tennici” e degli studenti universitari saccenti ed abortiti che credono di saperla lunga, l’Ingegneria Elettromagnetica Scientifica, sorretta dalla dottrina di fisici matematici di rango che decidono di diventare ingegneri, inizia a prendere consapevolezza di sé.

Non a caso, nella scuola di Ingegneria di Darmstadt, nasce il primo manuale di Theoretischen Elektrotechni.  Con sorprendente lungimiranza, è diviso in due parti: Starkstromtechnik (potenza); Schwachstromtechnik (segnale); In più parti dei tre ponderosi tomi, le dinamo milanesi di Bartolomeo Cabella vanno alla grande.

Nella Milano della II Expo, posta al servizio dell’ intelligenza produttiva, l’elettricità, quella di Maxwell e di Ferraris, riletta, in attesa dell’arrivo sulla scena di Steinmetz, da Giuseppe Colombo, sarebbe stata risposta giusta al momento giusto.

Al fine di poter dare il giusto senso ai contributi recati da Milano all’elettricità postmaxwelliana, rivediamo un attimo, in via preliminare, il senso della Dynamical Theory ed il conseguente significato del successivo contributo dell’Ingegneria.

Vi si potrebbe ritrovare il Teorema di von Helmholtz:

E da questo la suggestione neocartesiana del vortice molecolare…

Che cosa se ne può dire


Con un integrale primo (relazione di Poynting – Heaviside) delle Equazioni di Maxwell che formalizza quel bilancio energetico che Maxwell non aveva trattato,

Il cui integrale (per б=0, cioè nel vuoto) è espresso dai seguenti potenziali ritardati:

Il cui sviluppo in serie è sorprendente:

Solo il primo addendo è dunque un potenziale attuale (propagantesi in quanto tale con celerità infinita): gli altri, di natura “correttiva”, sono potenziali ritardati che viaggiano a celerità finita!

Nel caso di regime sinusoidale, avvalendosi del metodo degli esponenziali complessi, si ha:

 

In tali ipotesi, se:

troncando lo sviluppo in serie di potenze, si può adottare l’approssimazione di primo ordine così sintetizzata:

In tali condizioni, lo spazio ed il tempo nuovamente si disaccoppiano e lo spazio da fisico torna ad essere geometrico.

Quanto alla forma del potenziale, essa è dello stesso tipo del caso statico.

In particolare, nel caso sinusoidale, se tali condizioni sono verificate, si dirà che il campo è lentamente variabile. Tramite tale notazione il campo sarà detto lentamente o rapidamente variabile in relazione alla distanza tra il potenziato ed il potenziante confrontata con la lunghezza d’onda.

Diciamocela tutta: «Circuit theory is a mathematical method and it should not be confused with circuits. Empty space is neither a circuit nor a network». S. Shelkunoff (1897-1992), Electromagnetic Fields, Blaisdell Publishing Company, New York, 1963.

Solcato da linee di forza che si incurvano al procedere dell’evento, lo spazio si compromette con il fenomeno ed esige pertanto equazioni alle derivate parziali:

Il che vuol dire che non ci si deve mai lasciar attrarre dalla “materialità costruttiva” del circuito:

Si deve cioè pensare a configurazioni di questo tipo:

Dove lo spazio, va visto a priori compromesso con l’evento e dunque fisico:

E dove solo a posteriori si potrà dire se sussistono le condizioni del primo ordine per le quali il campo si può lasciar rappresentare in modo “particellare” da una rete.

 

Avendo ben presente il “postulato vj degli ingegneri” e riformulando corrispondentemente la relazione di Poynting secondo Slepian.

Infine con Poincaré, le grosse difficoltà appariranno proprio in occasione, guarda caso, dell’experimentum crucis di Hertz.

A svelare l’enigma inatteso (regime quasi-stazionario) dell’approccio circuitale saranno le “percezioni” contenute in una lettera inviata da di Heaviside ad Hertz…

Cammin facendo. Ci saranno i contributi, tra gli altri, di Abraham, Carson, Graffi, Giorgi, Bottani.

La conclusione arriva nel 1938, con l’analisi tensoriale delle reti di Gabriel Kron, con le sue reti elettriche equivalenti delle Equazioni di Maxwell: Nelle quali si ritrova il pensiero di Levi-Civita.

Nel 1873 Maxwell pubblica il Treatise

I pareri sulla Dynamical Theory saranno i più discordi. Pensiamo, tra i molti altr, ad Hertz, Heaviside, Poincarè, Boltzmann.

Nel caso presente conviene citare direttamente lo stesso Colombo:

“… Il fatto è, invece, che l’elettrotecnica è forse la materia nella quale la parte scientifica ha il maggiore e quasi l’esclusivo predominio. I più grandi progressi sono dovuti alla teoria pura; senza gli studi di Hertz non avremmo la telegrafia senza fili di Marconi, come senza gli studi di Galileo Ferraris non avremmo i motori a campo rotante; le più riputate fabbriche di materiale elettrico sono quelle, e son poche, dirette o ispirate da distinti teoristi”.

Ma com’erano, in quegli anni, i rapporti tra scienza e tecnica?

Si può affermare che la nascita della moderna ingegneria elettromagnetica scientifica sia sintetizzabile nel passaggio seguente:

E nelle seguenti consapevolezze:

«Attemps of ordinary mortals to do better than Maxwell did must discouraged. Let us follow Maxwell as long as we can, then, when someone is born who is more profound than Maxwell, we will bow him».

«Electrical engineering was born yesterday and had no long- standing tradition, no professional culture».

«The theory of the transformer described a device that does not exist in practise, but merely haunts as a phantom transformers the text- books and mathematical treatise on transformers»;

«Most theories of the induction motor were written only by theorist who never constructed a motor themselves and who have never seen a motor taken apart»,

«Phantom transmission lines circuit of uniformly distributed capacity and inductance was very different from the circuit existing in practice».

«at present all mathematical and analytical theories [of AC circuits] especially if they have to start from solution of differential equations, are still of very little value for the practical engineer, who is not yet generally expected to master the powerful weapons of mathematics»

Si può dire che, superato definitivamente il manuale di Kittler, la risposta dell’Ingegneria Scientifica al Paradigma maxwelliano sia conclusiva e sia all’altezza della situazione.

Il più grande elettrotecnico della storia, anzi il padre stesso dell’Elettrotecnica, è Steinmetz.

 

Ma vediamo proprio in Ferraris (scienziato ed ingegnere) il senso preciso di questa transizione:

Nel 1864 Maxwell aveva già elaborato le equazioni del trasformatore:

 

È la nascita postmaxwelliana dell’Elettrotecnica Teorica.

Steinmetz sostituisce il metodo (esterno) delle induttanze (di Maxwell) con il (suo) metodo (interno) di campo:

Ed ottiene così una prima parziale equivalenza interna:

Nel 1930 Weber dimostra che non l’approccio circuitale esterno, di tipo integrale, ma solo quello campistico interno, di tipo differenziale, può condurre alle “fonti del Clitunno”, alla reale configurazione del campo interno.

Può essere interessante cogliere il senso fisico- matematico di questa ingegneria ricostruendo il processo logico che porta Ferraris al campo rotante.

Le analogie macchine, tra il Teorema di Deprez ed il motore stellare dell’aereo del Barone Rosso, sono ovvie ed intriganti:

 

 Prese due spire ortogonali, si ha:

Iniettate due correnti in quadratura, segue il Campo Ferraris:


Ma vediamo lo scenario italiano nel quale, in parte, si trovarono collocati Ferraris e Colombo.

Agli effetti della “Milano Elettrica” gli eventi essenziali da prendere in considerazione sono tre:

L’Expo di Parigi 81: il grande sogno, l’illuminazione elettrica, grazie alla sostituzione dell’arco voltaico con la lampada ad incandescenza e l’impiego di dinamo più evolute (la Jumbo di Edison) diventa possibile;

In realtà il sistema nasce con un vizio di forma: l’uso della corrente continua limita fortemente le distanze che si possono coprire per cui la scelta delle sorgenti primarie, dovendo essere compiuta in loco, è obbligata.

1884: l’esperimento di Torino – Lanzo, la prima trasmissione di potenza elettrica in alternata

Nel 1891 a Laufen si effettua il primo esperimento a tecnologia polifase. È il trionfo

 

Ora abbiamo tutti gli elementi e tutta la consapevolezza per esaminare: “La Milano Elettrica” nel periodo che va:

Dall’Expo di Parigi del 1881;

Passa attraverso Torino – Lanzo e Laufen;

Chiude con le rapide di Paderno e, nel 1897, con la morte di Ferraris e la nascita di Bottani.

È a questo punto che la figura di Colombo, già artefice dell’assetto imprenditoriale milanese, davanti alle difficoltà invalicabili frapposte dalla inadeguatezza delle risorse energetiche, entra in gioco come “ingegnere energetico”.

 

«[…] verrà un giorno, e non deve essere lontano, in cui il calore e la forza si potranno raccogliere e trasportare come una merce qualunque; si può esagerare la difficoltà di arrivarvi, ma non è permesso di negarne la possibilità; nello stato attuale della scienza e dell’industria non è più ormai che una questione di tempo.»

«[…] ora più che mai si può vagheggiare la realizzazione di quel grande ideale della meccanica moderna, che è la distribuzione a domicilio dell’energia sotto tutte le forme: sotto forma di forza, di calore, di luce».

 

Nasce Santa Radegonda

 

 

Il passaggio alla Corrente Alternata determina la transizione verso le “rapide di Paderno”: nasce la nuova centrale in alternata che deve alimentare una Milano ormai in fase di crescita energetica inarrestabile.

Potenza in “luce”: 70.000-80.000 lampade.

L’originario progetto era di 5.010 CV ma uno successivo del 1892 arrivava già a 8.220, portando la porata a 45 mc/s i 30 precedenti: si generavano 13.500 CV e ne giungevano 9500, La centrale sull’Adda fu il trionfo finale dell’elettricità;

Ma, nel 1886, per allevare i “giovani elettrici” chiamati alle nuove imprese dell’Elettricità dando loro tutta quella conoscenza scientifico – tecnica che il Politecnico del matematico Brioschi stava mettendo a punto e diffondendo, nasce l’Istituzione Elettrotecnica Carlo Erba.

Vediamola:

 

Riporta a Giorgi ed ai suoi contributi risolutivi nella contrapposizione Cornu-Perry

“The Foundations of Electrical Science” Giovanni Giorgi, Electrician, Aprile 1894:

In seguito quelle tre pagine daranno vita alla fisica matematica dei circuiti e rivoluzioneranno così l’Elettromagnetismo….