Lezioni, conferenze sulla storia,  Storia

Fisica e chimica nelle scuola secondarie superiori

Download Attachments

L’istruzione secondaria nell’Italia unita (1861-1901).

Prima di iniziare, urgono, da parte mia, due premesse indispensabili:

La prima mi serve come biglietto di presentazione:

Voglio capire come Dio ha creato il mondo.

Non mi interessa questo o quel fenomeno in particolare, voglio penetrare a fondo il Suo pensiero.

Il resto sono solo minuzie […] L’esperienza più bella che possiamo avere è il senso del mistero, l’emozione fondamentale che accompagna la nascita dell’arte autentica e della vera scienza.

Colui che non la conosce, colui non può più provare meraviglia e stupore, è già come morto ed i suoi occhi sono incapaci di vedere”

– A. Einstein

La seconda è un atto dovuto:

a tutti Voi un sentito “Grazie!” per avermi coinvolto.

Ed ora, finalmente, iniziamo! Con la scorta di alcune osservazioni preliminari, le riflessioni nel seguito proposte.

Partono dalla nascita del Regno d’Italia, Si spingono fino alla fine del secolo XIX; qua e là, del tutto marginalmente e con scopi comparativi, lambiscono sia il successivo periodo giolittiano che, fino allo scoppio della 2° Guerra Mondiale, il ventennio fascista.

Il percorso indagato inizia con una legge:

La legge Casati del 1859, promulgata mentre, attorno al Piemonte ed alla Lombardia, si vanno progressivamente aggregando le terre dell’intera penisola;

E si protrae verso due riforme: La riforma Gentile del 1923, promulgata durante il I governo Mussolini;

Una “riforma” Bottai precedente la 2° Guerra Mondiale.

L’obiettivo dell’analisi è il seguente, porre in luce e correlare l’impostazione dell’Insegnamento Secondario della Fisica e della Chimica con:

  • Le condizioni sociali, economiche e politiche;
  • I vincoli culturali;
  • La parallela evoluzione, a livello di ricerca e di didattica universitaria, della Fisica e della Chimica;
  • Le simultanee richieste di una Tecnologia e di un’Industria in fase di espansione.

Lo studio sarà articolato in tre fasi successive:

  • Una prima parte nella quale, sommariamente, si analizzeranno le problematiche socio – politico- economiche sottese alla creazione della Scuola Secondaria;
  • Una seconda parte nella quale se ne riassumeranno gli aspetti organizzativi ed istituzionali;
  • Una terza parte, la più “importante”, nella quale, nel dettaglio, si indagherà la didattica in senso stretto della Fisica e della Chimica.

Ci si servirà a questo scopo:

  • Degli Orari Scolastici, degli Insegnamenti e delle eventuali Indicazioni Ministeriali desunti dalle Gazzette Ufficiali dell’epoca;
  • Degli Schemi Didattici ricostruiti dalla lettura dei Manuali dell’epoca.

Sulla “valutazione” dei manuali giocheranno un ruolo essenziale:

  • le caratteristiche grafiche,
  • il livello matematico,
  • l’utilizzo degli esempi numerici,
  • l’indicazione degli ordini di grandezza, Il riferimento ad apparati, strumenti ed attività di laboratorio,
  • la presenza di considerazioni storiche ed epistemologiche.

Si analizzerà dapprima, cogliendola anche nei suoi legami con la Matematica, la Fisica e successivamente, sottolineandone le connessioni con la Fisica, la Chimica.

Parte prima: un rapido accenno agli aspetti sociali e politici.

La legge Casati del 1859, ha due obiettivi dichiarati:

  • Debellare l’analfabetismo e creare una lingua comune;
  • Formare la classe dirigente dello Stato;

Corrispondentemente, essa dà vita:

  • Ad una Scuola Primaria;
  • Ad una Scuola Secondaria e Superiore.

La Scuola Primaria non è argomento delle presenti riflessioni. Non ne parleremo dunque. Semplicemente, al fine di collocare le presenti riflessioni in una lettura generale, ci limiteremo, salvaguardando comunque sintesi e rapidità, a ricordare che preliminarmente che: Il 74,7% della popolazione (con punte del 90% nel meridione), oltre 14 milioni, è analfabeta.

Il compito di superare questa difficoltà viene assunto dagli stessi uomini che hanno appena fatto l’Italia. Ma, nella politica scolastica, essi non sanno rivelare tutta l’energia e tutta la risolutezza necessarie. Il principio della obbligatorietà e della gratuità dell’istruzione primaria, sancito già nel 1859, in Piemonte e Lombardia, dalla legge Casati, non diviene effettivo e rimane sulla carta.

In sintesi, 7807 comuni su 8789 non dispongono delle necessarie risorse finanziarie, l’assegnazione del diritto di voto ad una “elite” privilegiata costituita solo da 4% della popolazione non favorisce certo la soluzione del problema. Ma anche con l’avvento al potere, nel 1876, della Sinistra le cose non cambiano: nel 1883, 1.351.490 di fanciulli non possono usufruire dell’insegnamento elementare; l’analfabetismo scende comunque dal 74% al 61%.

Ed ora, con queste necessarie premesse, passiamo alla Scuola Secondaria. Al riguardo è immediato riconoscere che se il problema della scuola primaria fu certamente il più grosso ed oneroso, quello della scuola secondaria risultò senza ombra di dubbio il più complesso ed aggrovigliato, in quanto vi era implicata una molteplicità di questioni di natura sociale, culturale, economica e politica; vi erano inoltre coinvolti a pieno titolo il concetto stesso di cultura, quello della sua funzione nello sviluppo del paese e quello del suo ruolo nello sviluppo economico del paese.

La prima questione riguardò il rapporto tra:

  • l’istruzione classica, conducente alle scuole superiori scientifiche e letterarie destinate «ad educar l’intelletto, alla manifestazione del bello od alla investigazione del vero;
  • l’istruzione tecnica, destinata invece a chi voleva dedicarsi alla produzione materiale.

E pose i seguenti quesiti:

  • La distinzione tra i due percorsi formativi doveva essere posta in atto subito dopo la scuola primaria?
  • Tale distinzione doveva essere netta e completa?
  • L’istruzione tecnica doveva subito sfociare sull’ “arte specifica” oppure deve avere una fase preparatoria?
  • Quali dovevano essere i rapporti tra i vari ordini, elementare, medio e superiore?

L’analisi di quella fase postrisorgimentale, contrassegnata dalla netta contrapposizione tra le forze economiche più dinamiche e quelle assenteiste; tra i ceti intellettuali arretrati e quelli progressisti; tra i politici vincolati ai loro miopi interessi di classe e quelli che si sforzavano di adeguare le istituzioni all’evolversi delle strutture economiche ed alle esigenze emergenti della società civile; è troppo complessa per poter trovare qui, malgrado la sua importanza, anche solo un breve accenno.

Limitiamoci ad osservare che la cosa veniva da lontano e che si sarebbe confermata, se non addirittura consolidata, nel tempo.

Vi erano gli uomini più illuminati del Risorgimento, i quali intendevano il problema italiano come il problema dell’inserimento del paese nella grande competizione delle nazioni «più avvedute, e più ubbidienti all’esigenza dei tempi; insistevano sull’estensione dell’istruzione a tutte le classi della popolazione; rivolgevano la loro attenzione agli insegnamenti scientifici e tecnici di vario livello.

Anche senza citare per alcuni aspetti lo stesso Cavour, e comunque sorvolando frettolosamente sui molti altri autori, basterà citare il Cattaneo. Nella sua concezione democratica l’espansione dell’istruzione e di quella tecnico-professionale assumeva la funzione di elevare a nuova dignità civile le “umili fatiche dell’officina” e di liberare gli operai dalla “condizione di semoventi ordigni d’un’arte non intesa”.

A proposito dell’importanza dello sviluppo da imprimere all’istruzione, il Cattaneo, prendendo le distanze da qualsivoglia generica ed astratta perorazione sociale, svolge una ben fondata analisi economico-civile e nel 1839 calcola il costo dell’istruzione elementare dei fanciulli lombardi in età scolare e mostra che il paese «nel contribuire per tre o quattro anni all’istruzione di un fanciullo del popolo, colloca a frutto circa una trentina di lire , ossia investe una rendita perpetua di forse mezzo centesimo al giorno.

Dovremo ora accennare, per completezza, all’ostilità delle forze reazionarie e della sempre più palese insufficienza delle università. Scienza e tecnica non godevano buona fama presso le forze sociali privilegiate che, desiderose di ripristinare l’antico ordine sociale, ne vedevano una delle principali cause dell’empietà, del materialismo, della spregiudicatezza critica di cui il secolo dei “lumi” già aveva dato riprovevole prova.

Per ragioni di brevità limitiamoci a due veloci citazioni:

[…] forse I nostri padri, da sessanta secoli in qua, non sono andati calzati e vestiti perché sarti e calzolai non conoscevano le regole della meccanica? […]

– Monaldo Leopardi

Quanto avreste fatto meglio se invece di aprire una scuola di Geometria per li poveri […]

li aveste invece raccolti per udire in tali giorni pie e sode istruzioni che insegnasser loro ad essere buoni e perfetti cristiani

– Luigi Lambruschini

Gravava dunque una dicotomia tra le culture scientifica ed umanistica che avrebbe gettato per decenni la propria ombra sulla cultura italiana. Valga per tutti, nel nuovo secolo, la squalificante esperienza della rivista “Scientia” di Enriques e Rignano.

Scientia (1907-1988) : Il brutto anatroccolo della cultura italiana, Federigo Enriques, Eugenio Rignano.

Per percepire la portata dell’iniziativa culturale basterà osservare che il Comitato di Redazione era così costituito:

  • I matematici V. Volterra, G. Peano, G. Vailati, G. Castelnuovo, S. Pincherle; i fisici E. Amaldi, E. Fermi ed E. Persico; il biologo C. Golgi.
  • In tempi più recenti G. Loria, R. Marcolongo V. Ronchi , L. Geymonat.
  • Tra gli stranieri: S. Arrhenius, W. Ostwald, B. Russell, P. Langevin, H. Becquerel, J.J. Thompson, E. Rutherford, H. Lorentz, S. Freud, H. Poincarè, E. Borel, E. Picard, E. Mach, A. Einstein, M. Debroglie, A. Eddington, C. Fabry, W. Heisenberg.
  • Nonché i fondatori stessi del Circolo di Vienna R. Carnap, O. Neurath, P. Frank.

Croce scrisse del “volenteroso professor Enriques che con zelo ma scarsa preparazione si  diletta di filosofia”.

Quanto a Gentile, egli, parlando di Enriques, non mancò di osservare che «volendosi orientare nella scienza cercano il centro, per dirla con Bruno, discorrendo per la circonferenza. E però è naturale cerchino e non trovino nulla; e facendo la filosofia scientifica, non si scontrino mai con la filosofia».

Non ne parleremo e ci limiteremo a citare De Sanctis e il grande Ludovico.

In tempi recenti si è manifestata una diffusa tendenza a relegare la filosofia entro i problemi dell’anima lasciando alla scienza la responsabilità di far progredire la nostra conoscenza del mondo, quasi che i due compiti siano separabili l’uno dall’altro.

Noi siamo fermamente convinti che questo modo di procedere sia in aperto contrasto con lo sviluppo più significativo del pensiero antico e moderno, e stia proprio alla radice della grave crisi da tutti denunciata nella cultura odierna: tanto in quella cosiddetta umanistica (che in pratica ignora Maxwell, Einstein, Plank, come fino a qualche tempo fa ignorava Newton se non Galileo), quanto in quella specificamente scientifica (che spesso si trova ad adoperare i risultati delle scienze senza sapere e senza chiedersi da quali travagli culturali siano nati).

– L. Geymonat

Promulgata nel 1859, la legge Casati non aveva mancato di suscitare profonde riserve, già nel 1861, da parte dei più illuminati, ci si domandava infatti come superare il distacco tra scuole classiche e scuole tecniche che essa, con il suo dettato, esplicitamente codificava; in effetti la legge era espressione diretta dei vecchi gruppi borghesi – aristocratici, più che mai decisi a conferire al moto liberale – risorgimentale un’involuzione moderata e conservatrice disponibile a compromessi con il vecchio mondo. Come tale, essa non accolse le principali istanze delle forze sociali e culturali più avanzate e moderne e stabilì invece una netta distinzione tra:

  • Istruzione classica: disinteressata e varia;
  • Istruzione tecnica: utilitaria e parziale;
  • e finì con lo stabilire la netta superiorità della prima sulla seconda.

La prima era riservata all’élite dirigente e a tutti coloro che intendevano dedicarsi ad attività intellettuali e alle professioni liberali; la seconda doveva invece soddisfare le esigenze di coloro che intendevano avviarsi alle attività manifatturiere ed ai traffici.

La conseguenza fu immediata, l’insegnamento tecnico fu considerato “scuola speciale”, nel senso di particolare, limitato, di grado inferiore e perciò meno degno; e nessun impegno concreto fu preso dallo stato. Gli istituti tecnici «potranno essere aperti a misura che il bisogno se ne farà sentire, nelle città che sono centro di una più intensa attività industriale e commerciale». Ma, mentre per le scuole tecniche, a carico parziale dello stato, non si affermava l’obbligo di tenerle in vita, per i licei si sanciva l’obbligo dello Stato di mantenerle in vita di «almeno uno per cadauna provincia».

Che si trattasse di una precisa scelta politico – culturale di classe apparve subito chiaro. La sua impostazione fu nel seguito ampiamente confermata e ribadita dalle forze conservatrici; i fautori di una scuola media più democratica ed aperta furono zittiti, le conseguenze negative di una simile partizione di indirizzi non sfuggì agli intellettuali ed ai tecnici più avanzati e maturi.

Ma ormai era cosa fatta. Riflettendo sui risultati, Cesare Correnti, nel 1870, avrebbe osservato che: «Ci pare che la divisione fra le discipline letterarie e le tecniche sia degenerata ormai, con infelice progresso, in opposizione e contraddizione manifesta. Ci pare che le scuole dell’adolescenza, ove veramente si edificano le anime e onde esce l’uomo e il cittadino, non abbiano a contrapporsi duramente le une alle altre, quasichè siano destinate a preparare due casta diverse, a crescere da una parte i fuchi aristocratici e dall’altra le api operaie».

La posizione dell’indirizzo classico fu subito,e definitivamente, di netta ed indiscussa superiorità in quanto tale scuola:

  • Personificava le tradizioni e l’ideale di cultura nazionale;
  • Era sgombra di qualsiasi intento immediatamente utilitario e professionale;
  • Svolgeva un’azione educativa e selettiva;era regolatrice e promotrice dell’alta cultura disinteressata e ideale.

L’analisi dell’insegnamento della fisica e della chimica nella scuola secondaria non può che partire proprio da qui, da questi dati preliminari e dalle precise consapevolezze che ne derivano.

Parte seconda: l’organizzazione della scuola secondaria

In un contesto di questo tipo il canale del Ginnasio e del Liceo Classico rappresentò la corsia preferenziale per la formazione dei figli della nuova borghesia italiana. Questo indirizzo di studi era articolato in un Ginnasio inferiore (di tre anni), in un Ginnasio superiore (di due anni) e in un Liceo Classico (di tre anni).

Il quadro orario approvato con Regio Decreto 22 Settembre 1860 prevedeva per le classi 4a e 5a ginnasiale e per le tre classi liceali 28 ore di Italiano, 19 ore di Latino, 14 ore di Greco, corrispondenti rispettivamente al 24%, 17%, 12% del totale delle ore di insegnamento relativo alle cinque classi indicate.

Per contro, all’insegnamento della Matematica venivano assegnate 17 ore nei cinque anni e all’insegnamento della Fisica un totale di 9 ore distribuite nelle due classi terminali del liceo con un peso percentuale delle due materie pari rispettivamente al 15% e al 8% del monte ore totale.

Per la Fisica, questo peso percentuale risulta superiore a quello dell’ordinamento attuale (5 ore in seconda e terza Liceo, pari al 3,4% del monte ore complessivo valutato per il Liceo Classico tradizionale) ma va tenuto presente che la materia di insegnamento allora denominata Fisica includeva argomenti che oggi vengono attribuiti all’insegnamento di Chimica.

Per quanto il Liceo Classico fosse dominato dalle materie umanistiche, le 9 ore di Fisica e Chimica (che, in base alla struttura dei manuali più diffusi all’epoca, dovevano essere dedicate prevalentemente alla Fisica) distribuite su due o su un solo anno, dovevano conferire una certa dignità all’insegnamento, anche agli occhi degli allievi.

Nel 1888, tuttavia, il quadro orario del Ginnasio – Liceo introduce una modifica che porta da 9 a 7 le ore dedicate all’insegnamento ora denominato “Fisica ed elementi di Chimica”.

Questa riduzione del numero di ore per l’insegnamento di Fisica ed elementi di Chimica non è accompagnata da una esplicita riduzione dei programmi ma da una sorta di declassamento del livello dell’insegnamento stesso che, secondo le “Avvertenze” che compaiono nel Regio Decreto del 1888, deve essere proposto «con la minor estensione possibile, omessi tutti i particolari superflui e tutti i dati numerici che non siano indispensabili.»

Il quadro orario del 1888 rimarrà in vigore fino alla Riforma Gentile, nel cui ambito si avrà una ulteriore marginalizzazione dell’insegnamento della Fisica, sia per la riduzione del numero di ore ad esso assegnate, che passano da 7 a 5, sia per il suo abbinamento all’insegnamento di Matematica.

Per quanto riguarda i programmi di insegnamento, non si rilevano novità sostanziali rispetto a quelli del 1860. L’esposizione dei contenuti mantiene il suo carattere descrittivo ed enciclopedico che non intende avvalersi del laboratorio, che ignora i riferimenti agli ordini di grandezza e il valore formativo della risoluzione di un problema. Le uniche variazioni riguardano quindi i contenuti; in particolare, nei programmi di insegnamento trovano un maggior rilievo il concetto di energia, i principi della termodinamica, le onde elettromagnetiche e le radiazioni.

Ulteriori, ma limitate, modifiche al quadro orario del Liceo Classico saranno apportate nel 1936 dal ministro Bottai. Nonostante le proteste dei fisici, questo quadro orario confermava l’attribuzione dell’insegnamento della Matematica e della Fisica ad un unico insegnante, limitandosi a precisare il numero di ore da utilizzarsi per ciascuna materia (7 per la Matematica e 5 per la Fisica).

Decisamente limitata, per le ragioni ricordate, è l’attenzione che la Legge Casati rivolge all’Istruzione Tecnica. Questo indirizzo di studi era articolato in più sezioni, distinte per i loro obiettivi specifici e dotate di uno specifico quadro orario. Nel suo ambito, la sezione di maggior rilievo era quella Fisico – Matematica, caratterizzata da contenuti più generali e orientata in modo spiccato verso gli studi matematici e scientifici. Da questa sezione si poteva accedere alle facoltà universitarie di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, al corso di laurea in Chimica e Farmacia, alla Scuola Superiore di Medicina Veterinaria, agli Istituti e Scuole Superiori di Commercio, alle Scuole Superiori di Agricoltura, alla Scuola Superiore di Architettura di Roma.

Le esigenze del processo di industrializzazione che si sviluppa in Italia alla fine dell’Ottocento, determina un successivo progressivo interesse per gli studi di carattere tecnico – scientifico cui corrisponde un deciso incremento del numero di iscritti in questo canale di istruzione.

Se nel 1861 gli alunni iscritti nelle scuole classiche sono circa 30.000 e solo 11.000 quelli iscritti negli istituti di tipo tecnico, nel 1901 il numero degli iscritti è rispettivamente 88.000 e 61.000, con un notevole riequilibrio fra i due settori.

La Fisica viene insegnata:

  • Nel biennio comune (con 3 + 3 ore settimanali);
  • Nel biennio a indirizzo industriale (3 ore di Fisica Generale in classe III e 4 ore di Fisica Applicata in classe IV);
  • Nel biennio a indirizzo fisico – matematico (3 ore di Fisica in classe III e 3 ore di Meccanica in classe IV).

L’insegnamento della Fisica nei due indirizzi ora ricordati poteva avvalersi di un bagaglio matematico acquisito in 6 + 5 ore settimanali nel biennio comune, 5 + 5 ore settimanali di Matematica elementare e 4 + 4 ore di Geometria descrittiva e disegno nell’indirizzo fisico – matematico, 5 ore settimanali di Matematica e 4 + 4 ore di geometria descrittiva nell’indirizzo industriale.

Nonostante il maggior numero di ore a disposizione dell’insegnamento di Fisica, l’indice dei contenuti ricalcava sostanzialmente quello del Liceo Classico, con qualche insistenza in più sugli aspetti applicativi e pratici.

La situazione subisce una drastica modifica nel 1876, con il ritorno della gestione degli Istituti Tecnici al Ministero della Pubblica Istruzione. Il quadro orario dei corsi viene drasticamente ridotto a circa 30 ore settimanali e l’insegnamento della Fisica concentrato in classe terza per tutti gli indirizzi con la dotazione di 5 ore settimanali.

L’indirizzo fisico – matematico può avvalersi di altre 3 ore di Fisica Complementare in classe IV, quello industriale di altre 4 ore di Fisica Applicata in classe IV. Nell’indirizzo fisico – matematico si prevede quindi la distinzione specifica fra Fisica (più teorica) e Meccanica (piùu applicativa) a favore di un insegnamento finalizzato a fornire agli alunni gli strumenti teorici necessari per la prosecuzione dei “loro studi nelle università e nelle scuole di applicazione per gli ingegneri.”

Non risultano invece rilevabili ulteriori variazioni di quadro orario e di programmi per l’Istituto Tecnico fino alla riforma Gentile. Questa ne certifica sostanzialmente la fine, cancellando gli indirizzi più prestigiosi (fisico – matematico e industriale) e togliendo a questo indirizzo di studi ogni accesso all’Università. Secondo questa riforma l’Istituto Tecnico segue immediatamente la Scuola Elementare (che si completa in cinque anni) e si articola in un corso inferiore comune di quattro anni e in due soli corsi superiori di quattro anni (denominati Sezione Commerciale e Sezione Agrimensura). In entrambe le sezioni, l’insegnamento della Fisica viene abbinato a quello della Matematica con un monte ore complessivo di 6 ore in classe I e 5 ore in classe II.

Fin dagli anni Trenta l’assetto dato da Gentile agli Istituti Tecnici viene duramente criticato in quanto giudicato non coerente con gli obiettivi del Fascismo. Al volgere degli anni trenta, infatti, il Ministro Bottai progetta un riordino complessivo che questo, a causa dell’esplodere della seconda guerra mondiale, non ha tuttavia seguito.

Nel 1911 la necessità di elevare il livello dell’insegnamento scientifico in ambito liceale conduce all’istituzione del Liceo Moderno. Tale nuovo indirizzo di studi ha in comune con l’indirizzo classico tradizionale le prime tre classi ginnasiali ma si diversifica poi nettamente nelle successive. Esso prevede l’eliminazione dell’insegnamento del Greco, una significativa riduzione delle ore dedicate all’Italiano e del Latino, l’inserimento (per un totale di 10 e 17 ore) dell’insegnamento di due lingue moderne. Prevede infine il passaggio da 7 a 10 ore per l’insegnamento della Fisica e degli elementi di Chimica e Geografia fisica ed astronomica.

È previsto nel contempo un netto aumento dei contenuti del programma di Matematica, fino ad includere i tipici argomenti dell’analisi infinitesimale. Per gli insegnamenti di Fisica e Chimica (affidati allo stesso insegnante) è prevista l’introduzione delle esercitazioni pratiche, da svolgersi con strumentazione semplice e senza preoccuparsi eccessivamente della precisione dei suoi esiti.

Questo nuovo strumento didattico, unitamente alla richiesta specifica di integrare l’esposizione dei principi con la risoluzione di problemi, appaiono come gli elementi più innovativi del corso. Anche se la vastità del programma di Chimica e Fisica, da svolgersi nelle 10 ore previste dal quadro orario, crea forti dubbi sulla loro reale attuazione.

La Riforma Gentile abolisce gli indirizzi fisico – matematico e industriale degli Istituti Tecnici e il Liceo Moderno che, con i suoi cinque anni ginnasiali e tre liceali, assumeva pari dignità del Liceo Classico. Assegna il compito della formazione scientifica nell’ambito della Scuola Media Superiore a un corso quadriennale denominato Liceo Scientifico. Ad esso si accede previo esame di ammissione e il suo sbocco sono le facoltà universitarie ad eccezione di Lettere e Filosofia e Giurisprudenza.

L’analisi del suo quadro orario indica chiaramente che la sua denominazione non rispecchia il reale contenuto delle materie proposte. Infatti, agli insegnamenti di Matematica, Fisica, Scienze Naturali, Chimica e Geografia vengono assegnate 32 ore, pari al 29% delle ore totali del corso (112) mentre agli insegnamenti di Italiano, Latino, Filosofia ed Economia Politica vengono assegnate 38 ore, pari al 34% delle ore totali.

Permane inoltre il deprecato abbinamento degli insegnamenti di Matematica e Fisica. In aggiunta, relativamente a questa materia, vengono cancellate le innovazioni introdotte dal Liceo Moderno riguardanti l’obbligo dell’uso del laboratorio e della risoluzione dei problemi.

Per contro, nelle classi IV e V Ginnasio e nelle tre classi del Liceo Classico, agli insegnamenti di Italiano, Latino, Greco, Filosofia vengono assegnate 72 ore, pari al 58% delle ore totali dei cinque anni (124) mentre agli insegnamenti di Matematica, Fisica, Scienze Naturali, Chimica e Geografia vengono assegnate 21 ore, pari al 17% delle ore totali.

Parte terza: l’approccio didattico

Sarà sviluppato in due successive parti riguardanti separatamente la fisica e la chimica.

Per la Fisica, gli argomenti approfonditi in termini comparativi saranno i seguenti:

  • Impiego del formalismo vettoriale nella rappresentazione delle grandezze fisiche;
  • Legge della dinamica;
  • Concetti di lavoro e di energia;
  • Le leggi della Termodinamica;
  • L’ottica fisica;
  • Il concetto di campo e di potenziale;
  • La legge di Faraday;
  • Le onde elettromagnetiche;
  • La costituzione della materia.

I manuali dovevano giocare un ruolo importante dal momento che in modo abbastanza sistematico, le “Avvertenze generali” che accompagnavano i programmi ministeriali raccomandavano in modo esplicito e perentorio di «attenersi ai libri di testo e a non dettare appunti in classe».

Nel 1871,a proposito degli inevitabili scollamenti tra obiettivi didattici e programmi ministeriali, Giovanni Cantoni osservava che: «Stimo quindi inutile di notare che nell’ordinamento di questo mio libro non presi a guida alcun programma
officiale, poiché credo che non la scienza debba atteggiarsi secondo questo o quel programma ministeriale, ma bensì i programmi dovrebbero ogni volta attagliarsi alle peculiari condizioni di sviluppo della scienza».

Non tutti gli autori dei testi di fisica potevano vantare l’autorità scientifica di Cantoni, professore di Fisica presso l’Università di Pavia e membro del Regio Istituto Lombardo di Scienze e Lettere. Tuttavia Autori come Roiti e Murani, ed in seguito Corbino, Fermi, Amaldi e Persico, nel trasferire in un manuale le indicazioni ministeriali, potevano senz’altro considerarsi vincolati solo dalla propria concezione didattica, quasi sempre sperimentata nell’insegnamento accademico.

L’avvertenza ministeriale non può dunque che condurre ad una conclusione oggettiva: se oggi il quadernuccio degli appunti ha preso in qualche modo il sopravvento, nella Scuola Secondaria dell’Ottocento a dettare le “regole del gioco”
dovevano senz’altro essere i Manuali.

In tutti i manuali esaminati, la tematica presentata per prima (Cantoni è preciso su questo punto) è la Meccanica. Differenziata appare invece la sequenza con la quale sono successivamente esposti i vari argomenti. Sul finire del secolo si converge però in modo uniforme e condiviso verso l’approccio classico attuale: cinematica, statica, dinamica, lavoro e energia, gravitazione. I concetti di lavoro, potenza, energia vengono però trattati senza evidenziare, dell’energia, il ruolo paradigmatico. In modo conseguente, il principio di conservazione dell’energia sembra giocare un ruolo marginale e viene trattato in termini per lo più discorsivi. Tale inadeguatezza si riflette, in modo inevitabile, sul successivo concetto di equivalenza calore – energia.

Si trattano liquidi ed areiformi, ma si sorvola sull’idrodinamica, la teoria cinetica conta solo su qualche paginetta discorsiva, la gravitazione, che pure potrebbe dar spazio a tutte le fondamentali riflessioni epistemologiche del caso, viene riduttivamente presentata nel capitolo della dinamica, quando addirittura non nella Cosmografia, cui il ministero assegnava invece un capitolo a sé stante.

La trattazione delle onde meccaniche è inquadrata nell’ Acustica. Pochissimi autori assegnano una priorità ed un’autonomia concettuale alle onde meccaniche e mostrano poi come le onde acustiche ne costituiscano un caso particolare. Grande rilievo, Cantoni vi riserverà addirittura un intero volume, viene dato da tutti gli autori alla tematica del calore. La termologia iniziava con la presentazione del concetto di temperatura, seguito dallo studio della dilatazione dei solidi e dei passaggi di stato.

Molto meno rilevanti i contenuti relativi al primo e al secondo principio della termodinamica. Il primo argomento si riduce solitamente alla descrizione di esperimenti che evidenziano l’equivalenza fra calore e lavoro meccanico. Non seguono enunciati generali sul principio di conservazione dell’energia. Il secondo principio viene addirittura ignorato.

Complessa è la trattazione dell’Elettromagnetismo perché ogni autore, per spazio riservato e per approccio adottato, fa a sé e non risulta dunque possibile ricostruire, almeno in prima lettura, una strategia didattica prevalente ed in qualche modo standardizzata. Confermata una premessa preliminare comune sulla costituzione della materia, si avanza poi quasi in ordine sparso, concentrando l’attenzione sulle “magie” costituite dalle macchine elettriche e dalla radiotelegrafia. Ohm e Joule compaiono, ma solo in regime stazionario e comunque secondo una lettura del tutto distinta da qualsivoglia approccio circuitale. Di onde elettromagnetiche neanche parlarne: per vederle affiorare, occorrerà attendere, nel 1925, Oreste Murani.