Storia,  Storia di Milano

La Milano elettrica

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“La Milano Elettrica”

Storia, Imprenditoria, Costume ed Elettricità, nella Milano postasburgica Da Solferino (un istante dopo) a Bava-Beccaris (un istante prima…)

Per amor del ciel borla minga giò Bella Madunina… Resta semper lì a protegg Milàn d’ora e piscinina.

«queste cose si possono fare solo a Milano e perciò si devono fare.»

Ercole Bottani

Nessuna conoscenza, se pur eccellente e salutare, mi darà gioia se la apprenderò per me solo.

Se mi si concedesse la sapienza con questa limitazione, di tenerla chiusa in me, rinunciando a diffonderla, la rifiuterei.

Lucio Anneo Seneca

«Gli uomini non hanno più tempo per conoscere nulla. Comprano dai mercati le cose già fatte. Ma, siccome non esistono mercati di amici, gli uomini non hanno più amici. Se tu vuoi un amico addomesticami».

[A. de Saint-Exupèry dal “Piccolo Principe”]

Milano, a pochi metri dalla Scala, a pochi mesi da Santa Radegonda: Tout par L’ÉLectricité …

Per non dimenticare… o per conoscere finalmente… Sarà una “Recherche dell’elettricità perduta”, Nel corso della quale, tra gli altri, avremo al fortuna di fare la conoscenza di tre figure eccezionali:

Già protagonisti, quali patrioti (furono garibaldini e/o mazziniani), del primo Risorgimento Italiano, quello politico-militare, essi furono poi, con le loro concrete iniziative imprenditoriali e culturali, i protagonisti assoluti, a Milano, del secondo Risorgimento, quello imprenditoriale – culturale, che diede un senso ed uno sbocco al primo.

Figli dei fervori culturali della Milano teresiana, ma certo non immuni alla sollecitazioni illuministe esercitate, malgrado tutto, dalle armate napoleoniche, patrioti di iniziale ispirazione mazziniana, con la normalizzazione dell’Italia umbertina, certo non dimentichi della lezione di Cavour e di Cattaneo, furono espressione della destra liberale e conservatrice che, a Milano, prese il potere.

In questo senso la matematica di Brioschi, l’ingegneria di Colombo, la munificenza di Erba seppero trovare nell’elettricità la parte migliore e più efficace di quella intelligenza produttiva borghese di cui essi erano espressione.

Per questo la nostra chiaccherata, tra luci insperate ed ombre temute, si snoderà: Richiamando brevemente le tappe teresiane, napoleoniche e “ceccobeppiane” della dominazione di Milano: lo scopo sarà quello di meglio percepire, cumulate lungo un percorso di due secoli, i pregi e i
difetti, l’indole e le aspettative, le potenzialità e le inattitudini di una ex capitale che, lasciato, all’indomani di Villafranca, lo scettro e la corona di una capitale, entrava, con grandi difficoltà, nel nuovo contesto unitario.

Richiameremo, rapidissimamente, lo sviluppo delle scienze elettromagnetiche, Potremo così cogliere, parallelamente, il senso della nascente ingegneria elettrotecnica, Lo faremo nel mondo intero e, comparativamente, in Italia, Ciò ci consentirà di meglio comprendere che cosa, per le loro politiche imprenditoriali, quei milanesi ebbbero a disposizione e l’uso che seppero farne.

Considereremo, nella storia della Milano Umbertina, Villafranca come Caporetto e l’Expo- ’81 come Vittorio Veneto;

Assumeremo come poli dominanti l’Expo – Parigi ’81, l’esperimento di Torino-Lanzo dell’84 e quellod i Francoforte-Laufen del ’91 come i poli dominanti di questa dinamica evolutiva e mostreremo come in tutti e tre i casi (affermazione dell’illuminazione ad incandescenza, affermazione dell’alternata e trionfo del trifase asincrono) quegli uomini, in un periodo che va dagli esperimenti di illuminazione dl Duomo alla nascita della Carlo Erba, seppero tenerne conto;

Mostreremo come a cose fatte, cioè all’indomani dell’Expo – Milano ’81, la scelta – più che moderata – degli ex patrioti Colombo & C si sia scontrata con precisi e quasi – invalicabili vincoli energetici;

Mostreremo come questi uomini, formatisi nell’età del vapore e dell’acciaio, seppero uscirne confermando l’acciaio ma passando all’elettricità;

Faremo alcune considerazioni comparative sul binomio Colombo (imprenditoria milanese: leggi Edison) – Ferraris (scienza torinese: leggi Lagrange);

Ricorderemo, di passaggio, la singolare grandezza di quei due uomini, non lontani da Cavour e Cattaneo quanto vicini a Maxwell e Steinmtez, ed esorteremo, per il futuro, a rivalutare, pur tra luci insperate ed ombre temute, una certa parte dell’Italietta umbertina.

Il tutto secondo il seguente programma:

 

 

Una “chiaccherata”, che vuole essere:

Un atto d’amore verso Milano,

Un atto d’amore verso l’elettricità: oggi solo l’elettronica e l’informatica (il sistema nervoso) sembrano avere cittadinanza, l’elettricità (il sistema muscolare) è dato per scontato…come se le macchine elettriche e le linee elettriche nascessero da sole, sotto i cavoli…

Ma, prima di iniziare, lasciamoci prendere dai sentimenti e rivisitiamo, per immagini e per suoni (oltre che per sorrisi e sguardi) la Milano di quei giorni, quella “vecchia signora” al cui fascino non dovremmo mai sottrarci. La Milano di Colombo: gli dei sono ancora lì…

 

La Galleria, punto di incontro della cultura, dell’arte e dell’imprenditoria, dove Francesco Brioschi poteva incontrare Giacomo Puccini ed il Maestro Verdi si intratteneva con l’industriale farmaceutico Carlo Erba, lo zio del regista Luchino Visconti (già di Savoja Cavalleria…).

Il caffè Cova, dal 1856 punto di ritrovo dei patrioti milanesi

La magia dei Navigli…

Professioni

 

Scene di vita quotidiana

 

 

Milan, bella Milan, te see la mia innamorada.

Per ti, bella cittaa, ho pestaa ona gran crappada.

Stanott, chì in de per mi,

settaa su ona banchetta,

mi voraría vess poetta

e cantà Milan.

Le dominazioni di Milano

Il Governo “Illuminato” di Vienna.

Non più cuore dell’Europa, ma ancora territorio ricco di risorse da sfruttare, lo Stato di Milano, dopo la dominazione spagnola, passa sotto il governo austriaco, ben rappresentato da Maria Teresa e Giuseppe II d’Asburgo.

A questi sovrani illuminati spetta l’arduo compito di rendere la macchina statale più agile e moderna, grazie anche all’appoggio di grandi illuministi, quali Cesare Beccaria e i fratelli Verri.

Progrediscono le scienze, la medicina e gli studi giuridici, mentre l’arte si rinnova in eleganti forme neoclassiche; la città acquista una rinnovata fisionomia ed assume il rango di Capitale Europea.

Ancor oggi, a Milano, nel centro storico, la numerazione teresiana è “sentimentalmente” conservata accanto a quella sabauda.

Il “piccolo corso”

Figlio della Rivoluzione Francese, Napoleone irrompe sulla scena europea conquistando il massimo potere in tempi brevissimi.

Con lui gli equilibri europei si rimescolano e si tracciano nuovi confini.

Passando come una meteora, porta una ventata di novità destinata modificare completamente la mentalità dei popoli. Lascia a Milano, che lo accoglie dapprima con entusiasmo, progetti grandiosi volti trasformare la città in una capitale moderna, e all’Italia il tricolore e un sentimento nazionale che sarà sempre più radicato e difficile da reprimere.

Con lui la città sposta l’ interesse dall’aspetto architettonico a quello urbanistico ed acquista una grandeur mai conosciuta prima; Il grande progetto urbanistico legato all’ area di Foro Bonaparte si sviluppa verso la strada, che, attraversato l’ Arco della Pace, lungo il Sempione, porta in Francia; Dall’ altra parte, oltrepassata la villa di Monza, si va verso Venezia; E Corso Venezia, costeggiata da palazzi monumentali, circuito prediletto del passeggio di pedoni e carrozze, diviene l’ arteria principale della città; Brera deve diventare una copia del Louvre e per questo Egli la arricchisce di opere sottratte ad altri musei; Non a caso, nel cortile di Brera, c’ è una statua del “piccolo corso”

Napoleone fa risistemare e riarredare il Palazzo Reale, (dove ha un appartamento per la vita ufficiale e uno privato); A corte, Napoleone chiama tutta la famiglia: le sorelle, Madame Mère, la moglie Giuseppina (che a palazzo Serbelloni si era fatta raggiungere da un suo amante); Il figlio di lei, Eugène Beauharnais, diventato viceré, aveva scelto come residenza la Villa di via Palestro; In realtà Giuseppina non era entusiasta: trovava Milano provinciale.

Napoleone, invece, ama Milano; anche se, specialmente d’ estate, preferisce abitare a Monza o a Mombello. Per difendersi dal caldo, crea un curioso lascito: la massiccia presenza di platani, di cui era letteralmente fanatico.

Il trace le quadrilatère qui a la forme d’une page et il écrit en milanais ce qui lui semble résumer son existence, la passion de la musique, l’Italie et l’écriture.

A Milano, la gente era contenta: non si era mai divertita tanto. La corte di Napoleone era brillante, festaiola. Erano continui ricevimenti, feste, banchetti, E anche fuori dalla Corte ci si dava alla pazza gioia. Basta pensare alle folle che assistevano alle naumachie all’ Arena: l’ abitudine di riempirla d’ acqua durò fino al XX secolo, quando si pensò anche di utilizzarla d’ inverno, ghiacciata, per pattinare.

Al Regno d’Italia si promette libertà, autonomia amministrativa ed un proprio esercito. Milano si conferma una capitale politica, amministrativa e culturale.

L’Armée è costituita da uomini “sballati” tra i 25 e i 35 anni.

Arrivano da una Parigi cadente, quella di Luigi XVI, e trovano – ben tenuta grazie all’ Austria di Maria Teresa – una città bella, moderna (la Scala aveva vent’ anni e Palazzo Reale dodici) e – se occorre tra i 25 e i 35 anni – culturalmente stimolante.

A giugno, però, scoprono che Milano è calda, e si rifugiano a Monza, dove fanno costruire il muro di cinta più lungo d’ Europa.

Nel 1812, inesorabile, inizia il declino delle aquile: Napoleone ha bisogno di soldi per la guerra, con più tasse e meno feste, i milanesi non si divertono più.

Trascinano il ministro delle finanze Prina per le strade e lo finiscono a ombrellate; Nel 1814 Bonaparte se ne va. Ma la Milano Felix, la Milano di Stendhal, rimane, indelebile come la memoria della gioventù, nel ricordo di molti. Anche questo vuol dire essere una delle capitali dell’Impero, non importa quale: in fondo, gli Imperi vanno, ma le capitali restano.

Ma Milano manterrà sempre un atteggiamento “particolare” { di amore e odio…} verso il “piccolo corso”:

L’Imperatore [che non ama gli Italiani], si fa chiamare “Bonaparte”, ma a Milano c’è “Foro Buonaparte”;

Impropriamente (complesso dell’Elmo di Scipio misto ad innata ingratitudine), tutti dicono “San Martino e Solferino”, ma a Milano la via che conta è “via Solferino”: di via San Martino non v’è traccia…; In via Giovacchino Murat, il “cognato traditore” è indicato come “generale” [di Cavalleria, ndr] e non come “Re di Napoli”;

La Restaurazione

Con la Restaurazione attuata dal Congresso di Vienna di Clemente di Metternich [così, “familiarmente”, i Milanesi], Milano diventa Bieder (semplice, sempliciotto integro, onesto) Meier (uno dei cognomi tedeschi più diffusi).

Con la nascita del regno Lombardo – Veneto e il ritorno dei sovrani austriaci si aprono per l’antico ducato tempi molto duri. Abili governatori, i nuovi dominatori sviluppano l’agricoltura, le fabbriche, le strade, ma soffocano ogni libertà, rendendosi in tal modo odiosi alla popolazione.

Sono tempi di grandi insurrezioni e rivolte, di sacrifici di vite, di guerre di indipendenza, destinate a cacciare gli Austriaci dal territorio lombardo. Sembra che tutti concorrano a questo fine: scrittori come Manzoni e Cattaneo, musicisti come Bellini e Verdi.

Solamente nel 1861 Milano, concludendo quasi quattro secoli di dominio straniero, entrerà a far parte del regno di Sardegna. Ma in quel momento, la Milano Politica dovrà rapportarsi ad una nuova Milano generata dalla II Rivoluzione Industriale: la Milano Energetica.

Agli Chassepots (Glisenti di Brescia) del Risorgimento Politico-Militare dovranno subentrare le Dinamo Gramme (Pacinotti di Pisa) del Risorgimento Scientifico-Imprenditoriale.

 

Tra il 18 ed il 22 marzo – 1848 una popolazione inerme – quella di Milano – ha la meglio contro:

  • 3 brigate di fanteria,
  • 6 squadroni di Cavalleria;
  • 6 batterie di artiglieria.

Purtroppo, posto alla guida del Comitato Rivoluzionario, il repubblicano – federalista Carlo Cattaneo non riuscirà ad evitare che i “moderati” e gli “eroi della sesta giornata” [«quei bellimbusti, superbi delle piume cascanti, trascinatori di sciabola pei selciati delle vie, militi cianciatori e ridicoli»] al fine di evitare quello che è considerato un “salto nel buio”, consegnino la città al “Re Tentenna”;.

Le brume della “fatal Novara”, solo un anno dopo,“sapranno fare ordine” e ricondurranno forzatamente le cose al loro stato iniziale; In Brianza, prossimi al rientro in città, i reparti austriaci saranno accolti, dai contadini, con questa frase: «sem minga sta num, in sta i sciur!»

Occorrerà attendere altri dieci anni per assistere alla cacciata definitiva dello straniero. Ma a quel punto, a dettare le regole del gioco, non saranno i Milanesi, bensì i liberatori: i Piemontesi.

 

Come politico, Cavour è stato un genio: in Europa lo si paragona a von Bismarck…

Con la Battaglia di Solferino, le aquile vittoriose del “piccolo Luigi” sembrano realizzare pienamente il piano geniale ordito dal Conte di Cavour:

la netta suddivisione della penisola in tre stati nettamente distinti, di cui quello a settentrione, con un Lombardo – Veneto sottratto all’Austria, sotto lo scettro sabaudo;

Ma proprio Solferino, con le sue aquile bonapartiste vittoriose, segna inesorabilmente la morte all’alba del Grande Sogno;

Alle inevitabili complicazioni di politica internazionale (cui non è estraneo anche l’orrore per il massacro della battaglia) non può che far seguito l’ Armistizio di Villafranca.

Da quel momento, per Cavour, le cose prenderanno – inesorabilmente – una piega completamente diversa da quanto egli aveva previsto:

Il Veneto sarà “sottratto” all’Austria solo nel 1866, ma in modo certo non onorevole (Custoza e soprattutto l’onta mai più cancellabile di Lissa…) e comunque solo grazie alle armi prussiane (il che, per il futuro, a livello di “immagine”, non passerà certo inosservato in Europa);

Quanto alla questione romana, essa non sarà certo di poco conto:

Con un Papa che, proprio qualche giorno prima dell’arrivo delle truppe piemontesi, proclama il Dogma dell’Infallibilità del Papa;

Con un Vaticano che fonda l’ “Osservatore Romano” per meglio “osservare” – facendo la fronda – ciò che accade dall’altra parte del Tevere;

Con un Savoia che, in occasione del suo insediamento, come suo primo provvedimento, fa erigere una statua nel punto esatto in cui Giordano Bruno fu arso vivo; Ma, per non urtare la suscettibilità di nessuno, dispone che gli occhi di Bruno, mentre va a fuoco, guardino verso il basso e non, come invece accadde, verso l’alto…

Del resto, “noi non buttiamo via niente”. Osservate l’elmo dei dragoni piemontesi e quello dei dragoni pontifici: hanno la stessa coccia, quella fatta dal Canova…

La “Breccia di Porta Pia” farà dire all’Europa che l’espansione italiana si è basata su tre S: Solferino; Sadowa; Sedan.

Nell’immediato, assolutamente non voluta da Cavour, c’è poi l’imprevista impresa dei Mille;

I reiterati tentativi di contrasto, da parte del Conte, risulteranno del tutto vani ed alla fine al Ministro Piemontese non resterà che porre una pezza a Teano;

Con ricadute, a livello di possibile contraccolpi, che si rifletteranno anche a Milano nel 1898, con Bava – Beccaris;

Si teme la rivoluzione, con infiltrati fatti arrivare dalla Svizzera, si sa che i Borboni finanziano sommosse, e si finisce con lo sparare sul mucchio, dopo di che, per salvare le apparenze, si dà una medaglia ad un boia.

Ma, se è vero che «l’artista anticipa i tempi di mezzo secolo», Giovanni Fattori, con il suo “Quadrato di Villafranca”, ci annuncia che la fase eroica del Risorgimento si è conclusa.

 

E le affezioni filo- tedesche (si corre sempre in soccorso del vincitore e, tra una mortificazione e l’altra, un tradimento e l’altro, si è sempre disposti all’obbedienza) prendono corpo, attraverso il mai sopito “complesso dell’Elmo di Scipio” in questo elmo italiano di chiara foggia prussiana.

Resta un fatto:

Con il concordato, il 20-settembre, festa della breccia di Porta Pia, non sarà più festa nazionale. L’Italia è l’unica nazione che non celebra la nascita della propria capitale. Ma ora è tempo di tornare in fretta a Milano.

Quali sono gli effetti di Villafranca per una delle ex Capitali dell’Impero?

All’indomani di Villafranca

Da capitale (asburgica) politico-amministrativa a capitale (sabauda) economico-produttiva.

Nel 1859, con Villafranca, si erano chiusi i mercati del Veneto, di Vienna e delle Terre Danubiane, nel contempo la non attuata congiunzione ferroviaria con il Piemonte, con la Liguria e con l’Emilia non permettevano alla città di assicurarsi tutti quei vantaggi che, fisiologicamente, la posizione geografica le assegnava.

Con l’ingresso, nel 1861, nella nuova realtà unitaria, Milano perde dunque il proprio consolidato ruolo di capitale politica ed amministrativa. Non le resta dunque che giocare, in un futuro dai contorni molto incerti e di difficile previsione, un nuovo eventuale ruolo: quello di grande centro economico.

A tutto questo si aggiungevano gli effetti della crisi della viticultura e quelli, ancora più gravi, della gelsibachicultura; Il setifico stava inoltre subendo, oltre alle conseguenze della scarsità delle materie prima, gli effetti della guerra civile americana; La conseguente sospensione degli acquisti di tessuti di seta da parte dei tradizionali fornitori tedeschi e francesi si era immediatamente tradotti in una forte contrazione delle vendite dei semilavorati italiani che aveva avuto effetti nefasti sull’economia milanese e, più in generale, lombarda.

Tale situazione non sfugge all’attenzione degli osservatori stranieri. L’8 – agosto -1865 il console francese scriveva infatti che:

«l’industrie du coton éprouve en Lombardie, un dommage considérable de sa séparation des provinces de la Vénétie et jusqu’à présent l’aggrègation des autres pays italiens n’a pas compensé la perte des provincies vénitiennes»

Vi erano infine – inevitabili – i problemi legati all’unificazione ed al “Piemontesismo”: Innanzitutto, a parte quelli che si erano affrettati a palesare il loro incondizionato beneplacito rispetto ai Piemontesi, vi erano, tra i Milanesi, anche quelli che, bontà loro, la pensavano invece in modo
completamente diverso.

E certo il fatto che il Signor Rattazzi avesse provveduto a far fuori “quei buoni impiegati dell’amministrazione ferroviaria il cui diritto al posto di lavoro ed all’avanzamento di carriera non doveva essere posto in gioco” non aveva contribuito certo a rasserenare gli animi.

Sta di fatto che la Direzione della Società per le Ferrovie dell’Alta Italia fu trasferita in blocco a Torino e questo provocò, nell’occupazione cittadina, un buco di 4000 unità che lasciò sfitto un intero quartiere di alloggi a Porta Nuova.

Un ruolo economico, dunque, e non più, come nel Lombardo-Veneto, un ruolo politico.

In realtà per Milano non si trattava di una dimensione del tutto nuova. Un ruolo di tale tipo, nel contesto agricolo – manifatturiero – commerciale proprio del Lombardo-Veneto, si era infatti già andato sviluppando e progressivamente consolidando negli anni della dominazione asburgica. Ma vediamone l’essenza classificando le attività svolte nella città:

  • Lavorazione della materia più largamente disponibile in loco: la seta;
  • Industrie che si collegano ai consumi urbani:
    • (a) abbigliamento (soprattutto bottoni…),
    • (b) trasporti (carrozze),
    • (c) tipografia,
    • (d) saponi,
    • (e) candele,
    • (f) pelli.
  • Le strade ferrate danno lavoro a 240 fabbri;
  • Per il resto Bizzozzero provvedeva a costruir campane per tutti.

Quanto al settore che avrebbe dovuto essere il più forte ed il più trainante, quello della meccanica, esso era in realtà, ancora sul finire degli anni ’50, il più debole. Esso riguardava infatti in modo esclusivo i sussidi all’agricoltura:

  • torchi,
  • mulini,
  • pompe,
  • motori idraulici,
  • seghe,
  • caldaie.

La meccanica milanese – sul finire degli anni ’50 – era dunque ancora una risposta ai soli bisogni interni, fuori da ogni prospettiva di autonomia rispetto alla dominanza dell’agricoltura, estranea ad ogni valorizzazione in grado di farne un prodotto competitivo rispetto ai mercati esterni.

Sul finire degli anni ’50, la meccanica milanese era dunque ancora una risposta ai soli bisogni interni, fuori da ogni prospettiva di autonomia rispetto alla dominanza dell’agricoltura, estranea ad ogni valorizzazione in grado di farne un prodotto competitivo rispetto ai mercati esterni.

Quanto alle dimensioni ed all’assetto produttivo, il modello era e restava quello della bottega: assenza di ogni possibile suddivisione del lavoro, di impianti e di macchinari moderni, di produzione in serie. Troppo spesso l’industria era poi solo artigianato di lusso estraneo alla specializzazione industriale ed incapace di presentarsi come tale sul mercato. È questo, in particolare, il caso delle carrozze. La “Milano industriale”, se è lecito usare questo termine, era dunque introflessa: bastevole alle proprie – più che modeste – domande interne.

In realtà, se l’unificazione politica esigeva una “Milano Industriale”, la vocazione “vera” di Milano – per come, in ragione della sua posizione geografica e dei sistemi di comunicazione limitrofi, essa era andata forgiandosi e consolidandosi per tutto il Settecento e l’Ottocento – era, assai più semplicisticamente, commerciale; Dinamismo dunque sì, ma legato ad un’industria serica che, proveniente dal contado, era destinata, agli effetti della trasformazione, altrove;

Con una prospettiva legata alla propria collocazione geografica: far da tramite alle merci che, giunte a Genova e Trieste, dovevano approdare ai mercati europei.

Non si dimentichi inoltre che a Milano regnava una carenza di cultura industriale che andasse oltre la mera curiosità (propria di un centro cosmopolita legato ai grandi commerci e quindi aperto alla circolazione delle idee e delle notizie; Analoghe considerazioni valevano per l’innovazione scientifico – tecnica, per la produzione e l’organizzazione della produzione di massa.

Il primo lustro post – unitario (1865, con il ponte di Piacenza, 1866, con una qualche ripresa della seta) per Milano è dunque un momento di attesa e di grande incertezza.

In attesa di una strategia industriale ed energetica che conferisca a Milano la giusta leadership, ciò che, nel brulichio postunitario, per ora colpisce l’attento osservatore straniero è l’operazione di: «embellissement de Milan»

In effetti gli anni di quel primo lustro vedono una amministrazione comunale impegnata nella sistemazione urbanistica e nel tentativo di dare alla città una veste moderna.

In questo senso, pur con le innegabili difficoltà, la città offre una buona immagine di sé, tutto sommato non dissimile da quella delle altre città d’Europa.

Ad esempio, a proposito di un aspetto “vagamente frivolo” come l’illuminazione elettrica, il console francese osserva che: «[Milano] ne laisse rien à désirer. Il peut rivaliser avec celui des plus grandes capitales»

Di particolare rilevo, alla presenza di Re Vittorio, fu l’inaugurazione della Galleria, Se la Galleria nasceva concretamente dai milioni stanziati dal Comune, il progetto era inglese, la realizzazione era della Ditta Jauret di Parigi ed il montaggio era compiuto da operai francesi;
Si enfatizzava dunque, con tali scelte, l’intensità del legame tra il nuovo Regno ed i paesi che avevano contribuito a crearlo.

E poi, in ambito artistico – culturale, vi erano la Scala e la Biblioteca Ambrosiana; Nel 1863, affiancandosi alla teresiana “Società di Incoraggiamento d’arti e mestieri”, nasce – quale precisa attuazione di una consapevole strategia di supporto al non più rinviabile processo di sviluppo industriale, il Politecnico;

E, con una contemporaneità non occasionale, sempre nel 1863, il Tecnomasio Italiano, in poco tempo la più quotata industria elettrotecnica milanese.

Il Politecnico nasce nel 1863. A reggerlo è chiamato un matematico di chiara fama: Francesco Brioschi (che, per meglio assolvere al suo non facile compito, ha trascorso lunghi periodi, come osservatore, nelle università tedesche).

Francesco Brioschi

Tra i suoi discepoli due nomi di eccezione:

L’attivazione del Politecnico, a livello di strutture e soprattutto di arruolamento dei docenti era avvenuta in tempi brevissimi, Il che lascia capire come questo evento, atteso e preparato da lungo tempo dalle tendenze culturali legate ai cambiamenti sociali ed economici della Città, fosse strettamente legato a quella “Società di Incoraggiamento arti e mestieri” che, fondata nel 1838 da Enrico Mylius, singolare figura di imprenditore, banchiere ed uomo di cultura, esprimeva al meglio quella che, in tempi passati era stato il “dispotismo illuminato” di maria Teresa e di Guiuseppe II.

La prima sede del “Collegio Brioschi”, nel ‘63, è l’Archivio di Stato, il Collegio Elvetico (dai milanesi soprannominato il “Palazzo della Contabilità”).

Rivediamolo.

Il Collegio Elvetico, prima sede del Poli, aveva il compito di educare alla carriera ecclesiastica i giovani svizzeri perché, tornati in patria, potessero combattere nelle loro città il diffondersi della Riforma. La miglior gioventù politecnica non sapeva dunque che, in quelle stesse aule in cui, essi, studiando con Brioschi, disegnavano il futuro della nuova Milano sabauda, duecento anni prima i giovani svizzerotti della Accademia degli Ifeliomachi fondata dal Cardinale Alfonso Litta blateravano, radunandosi ogni sabato mattina, contro gli eretici.

Tra anni dopo il Poli si trasferisce in fondo alla stessa via, nel bel Palazzo della Canonica, già sede degli Umiliati di Brera, ossia di quella parte del Clero desiderosa, tra l’altro, di contrarre matrimonio, vietato invece da Benedetto VIII.

 

Nel 1927 il Palazzo della Canonica sarà abbattuto per far posto al palazzo del giornale di Mussolini.

 

Nel contempo, sul finire del primo decennio unitario, se  «les mêmes motifs qui paralisent l’agricolture sont, en partie, un obstacle au développement des grandes opérations industrielles et commerciales»

La città aveva comunque migliorato la propria posizione dal punto di vista delle comunicazioni: non tanto sotto il profilo dei trasporti interni , quanto per l’allargamento della rete ferroviaria.

Nel permanere di una “cronica inadeguatezza” di case popolari, la realizzazione di opere di prestigio dimostrava in ogni caso che: «le capital ne fait pas défaut pour les spéculateurs, parce que’elles offrent le double avantage de la sécurité et d’un intérêt fort raisonable».

Non a caso, la sistemazione degli spazi attorno alla nuova stazione delle ferrovie dava al visitatore: «une impression de grandeur» e la Galleria, se di giorno era diventata sede di incontri per discutere di affari, di sera era luogo di: «agréables promenades»

Per gli osservatori, a Milano, alla fine di un decennio difficile: «le mouvement est intense, la circulation rapide, a vie débourde partout» Tanto più che era in atto una netta ripresa della seta E, parecchio drogata dalla guerra franco- prussiana, la meccanica conosceva uno sviluppo che, pur non ancora sufficiente, era comunque senza precedenti (ed altri settori produttivi non erano da meno).

Insomma:  «une sorte de révolution industriell se produit dans l’Italie du Nord»

E appariva sempre più lecito pensare che Milano avrebbe finalmente assunto quel ruolo che le forze di una certa parte d’Europa intendevano assegnarle.

In altri termini, se a Torino e a Venezia, la sede dell’ambasciata francese era stata chiusa, conveniva invece tener d’occhio la “piazza di Milano”;

Non a caso, a conferma del suo netto differenziarsi rispetto agli centri italiani, lasciata Torino, la Direzione delle Ferrovie Alta Italia fa ritorno a Milano (anche se alcuni banchieri genovesi, sborsando sull’unghia 800.000 lire, le soffiano palazzo Litta, la sede prescelta). E poi, nello scenario dell’italia della prima decade postunitaria, questa scelta confermava la scelta milanese di affiancare ad attività produttive, tutte ancora di inventare, attività altre non produttive.

Nell’81 l’attenzione degli osservatori stranieri si concentra sull’Expo. Risulta di particolare rilievo il senso di grande ammirazione espresso, nei loro rapporti, dai francesi, dagli inglesi e dagli svizzeri a commento di un’iniziativa che, sorprendentemente, testimoniava dei progressi di una città che soltanto pochi anni prima aveva quasi rischiato l’interdizione per la sua palese incapacità di governare la finanza pubblica;

Non è una cosa da poco: Ancora nel 1861, a Est, Milano finiva “bruscamente” a Porta Venezia;

Nel 1871 Milano fa la sua prima Expo: gli esiti pur non superlativi – la maggior parte degli espositori è locale e la tecnologia riporta a “costruzioni e arti usuali” – inducono a proseguire con fiducia;

È comunque il segno che la città, nel frattempo, sta progredendo sul piano tecnologico ed ormai sta superando se stessa.

  • Diamo qualche accenno veloce:
  • Nel 1842, si inaugura il Bagno di Diana (oggi Hotel Diana Majestic), lo “Stabilimento di esercizio e scuola di Nuoto”, cioè la prima piscina in Italia;
  • Nel 1865 i fratelli Bocconi passano alla storia aprendo, in Santa Radegonda, un negozio dove – udite! udite! – si vendono abiti preconfezionati: dopo nulla sarà come prima…;
  • Nel 1876 parte l’ippovia (con binari) Milano- Monza;
  • Ancora nel 1876 il napoletano Eugenio Torelli Viollier, già segretario di A. Dumas padre, fonda il Corriere;

Colombo, nel 1876, insieme ai fratelli Gerosa visita l’Expo di Filadelfia. Impressionato dall’invenzione di Bell, ritornato in patria, prende contatto con il capo dell’Ufficio Telegrafi delle Ferrovie con lo scopo di realizzare il primo telefono italiano; I fratelli Gerosa iniziano a costruire su licenza Bell, i primi telefoni; il 30 dicembre 1877, con uno di questi marchingegni, viene attuato, tra Palazzo Marino e, atre chilometri, la caserma di san Gerolamo la prima connessione. Il 31- dicembre si ha la prima telefonata in Italia: il sindaco di Milano invia gli auguri di Buon Anno al Sindaco di Varese.

Lontana dai giochi dei politicanti (già con L’Expo del 1906 non sarebbe più stato così), Milano si faceva dunque strada con la “sola” forza dell’innovazione, dell’impegno e del talento.

Nel 1877, a seguito del successo ottenuto con il negozio di via Santa Radegonda, per i fratelli Bocconi è la consacrazione: aprono “Aux Villes d’Italie”, il primo grande magazzino in Italia, di ispirazione parigina. Con il loro nuovo modo di esporre la merce, le vetrine ampie e luminose, i colori studiati per attirare gli sguardi, cambiarono per sempre il modo di vendere.

Alla mezzanotte del 18 marzo, tutta la città si riunisce in Piazza Duomo per assistere al primo esperimento di illuminazione elettrica con una lampada ad arco posta in cima ad una torre appositamente eretta in piazza del Duomo.

Il 2 maggio era stato approvato il prolungamento della linea di tramway Milano-Monza da porta Venezia a S. Babila: era il primo tram nel centro di una città.

Il 26 luglio, ai Giardini Pubblici di Porta Venezia, i milanesi assistono al primo volo in elicottero: il giovane Enrico Forlanini, con una strana macchina dotata di due eliche coassiali del diametro di circa due metri spinte da un motore a vapore appositamente realizzato, si alza da terra per una ventina di secondi all’altezza di circa 13 metri.

23 agosto, Giovanni Schiaparelli a seguito dei rilevamenti compiuti dall’Osservatorio di Brera, annuncia al mondo quella scoperta di “canali” su marte che fanno supporre la presenza sul pianeta di esseri intelligenti: i marziani.

Visti i risultati, era naturale che, a questo punto, un pensiero ben preciso si facesse strada:

Se nella sola Milano si potevano vedere tutte queste meraviglie, quante altre se ne potevano vedere nel resto d’Italia?

Chi erano, dove si trovavano, cosa stavano facendo tutti gli altri industriali, inventori, scienziati che l’unità d’Italia aveva comunque reso compatrioti?

Certo non fu un caso che, quale città nella quale compiere l’esame sullo stato della nazione, fosse scelta proprio Milano…

Tanto più che: Se le esperienze fatte dai MILANESI erano risultate positive, era tempo di non guardare più solo all’estero per restare sottomessi ed ipnotizzati dalle tecnologie straniere…; La neonata Italia doveva assumere finalmente fiducia in se stessa; E, per far questo, occorreva per prima cosa che tutti venissero a conoscenza di quanto di buono artigiani, tecnici ed ingegneri italiani sapevano fare.

In tale ottica: Il I febbraio 1880 il politico di turno, lesto nel cavalcar la tigre, firmò un manifesto per l’organizzazione dell’Expo; Il 5 maggio 1881, alla presenza di Umberto e Margherita di Savoia, giunti appositamente da Roma, il ministro di turno inaugurava l’Expo – Milano ’81.

La mostra restò aperta fino al 1°- novembre (cioè per sei mesi); Parteciparono oltre 7000 espositori provenienti da tutta Italia; E fu vissuta con grande entusiasmo dalla città; Iniziative culturali e di mondanità si susseguirono per tutta il periodo; Enorme successo ebbe la Grande Lotteria (che vendette 2 milioni di biglietti, contribuendo in modo determinante a finanziare il progetto).

La città si dotò di un’ippovia che collegava diversi punti dei bastioni con il Duomo (in sei mesi vendette quattro milioni di biglietti);

Facendo seguito al già citato primo esperimento di Piazza Duomo, la Galleria Vittorio Emanuele venne illuminata con 25 lampade ad arco Siemens, pari ad una potenza complessiva di 20.000 candele; il flusso luminoso non era costante ed ogni otto ore bisognava sostituire i carboncini delle lampade., ma pazienza, andava bene anche così.

 

Pur con un’allarmante assenza di materie prime e soprattutto con una terribile penuria di risorse energetiche, l’Expo di Milano dell’81 segnava dunque la nascita dell’Italia industriale;

Era, quella, dopo Custoza e Lissa ed in attesa di Dogali, (per tacer di Milano- 1898/Bava-Beccaris), la “prima volta” dell’Italia tra le potenze europee…;

ED IL “POSTO AL SOLE” VENIVA CONQUISTATO NON CON L’ARROGANZA OTTUSA DELLE BAIONETTE O CON L’ASTUZIA DELLE SIMONIE, MA – FIGLIA DI UN ARTIGIANATO ANTICO – CON L’ACQUISITA CAPACITÀ TECNICA, CON IL CONTENUTO DI UNA SAPIENTE INNOVAZIONE;

E, in ogni caso, con l’impegno quotidiano.

Pirelli, Breda, Pignone, Ansaldo, Tecnomasio: meccanica delle grandi macchine, locomotive a vapore, vagoni ferroviari, turbine; L’Italia scopriva di esportare ferri chirurgici e di avere, a Milano, la più grande fabbrica di bottoni del mondo…; Forse i primi ad essere stupiti furono proprio loro, gli Italiani figli del 1848….

Quegli Italiani che, tornati bambini in quel “semestre di festa, erano così grandi da sapersi divertire con l’ippovia…

Soprattutto laddove è vissuto come naturale il cosiddetto primato della formazione umanistica e quella scientifico-tecnica è considerata solo una “conoscenza efficace”, la Storia, scritta da Umanisti, [soprattutto in un’ Italia in cui tra Matteucci e Corbino, i due ministri della pubblicazione istruzione scienziati, passano 60 anni] lascia abitualmente in ombra la tecnologia e l’innovazione.

La qualità della vita è fondamentale, conquistarla – con secoli di fatiche – è un’impresa sovraumana, ma parlarne, in una società di annoiati e di poseur che viaggiano sul Frecciarossa senza interrogarsi sulla magia dei suoi 300 km/h, non fa fino. E poi, se c’è, e non si sa grazie a chi, questa “qualità” è data per scontata.

Affascinato dal suo campo magnetico rotante, con il quale intendeva restituire le mamme ai loro bimbi riducendo le ore da queste trascorse al telaio tessile, Ferraris evocava l’immagine di “ingranaggio eterico”; La magia del cellulare non sta nel cellulare (bassa tecnologia da marpioni), ma nel nulla in cui esso è immerso: un’assenza di materia – ma non di proprietà fisiche – che trasmette le “percosse” (in questo caso le stupidate quotidianamente blaterate all’apparecchio) con maggior vigore di quanto riesce a fare la roccia delle Dolomiti.

I libri di storia, come le piazze delle città, nella consapevolezza che altrimenti nessuno se ne ricorderebbe, ricordano – quasi sempre a sproposito – re e generali.

Figlia di un Dio minore, in un mondo in cui, pur ignorando il teorema del tomografo, le casalinghe di Voghera hanno ben chiara la differenza tra TAC e Risonanza magnetica, la Scienza, invece, non ha né storia, né travaglio che la faccia riconoscere, al pari dei canti leopardiani, come parte dell’animo umano e non come il prodotto di un Superpippo sballato capace solo di formule.

Nei libri la legge di Ampère è banalizzata nella sua semplice, chiara, elegante e scontante formulazione finale. Il travaglio intermedio, il ripudio dell’impassibile Grande Orologiaio degli illuministi, il passaggio intermedio, necessario ma ansiogeno, attraverso la Naturphilophie e l’approdo finale ad una romantica teoria dei campi non ha importanza alcuna: dopo tutto esso non serve per progettare il televisori della Sony…

Naturale dunque che quel 1881 a Milano non dica nulla… Poco si dice di ingegneri e di industriali, di tecnologie e di innovazioni. Eppure è (anche) grazie al loro impegno ed al loro talento che si è giunti al benessere che, immeritatamente per molti, contraddistingue la nostra epoca.

In quel lontano e dimenticato 1881, l’Italia combatté – e vinse – il suo II Risorgimento, diventando un paese moderno grazie anche ai suoi ingegneri, ai suoi industriali, ai suoi innovatori, alla creatività della sua borghesia. Ed alla magia dei suoi operai, fieri di lavorare al Tecnomasio Cabella e vincolati al “presto e bene” che, con Lui, avevano coniato e diviso.

Il grande tradimento della storia è quello dei chierici, che hanno dato le ali agli angeli, perché in paradiso non si va con le ali, ma con il lavoro delle mani.

L’Esposizione del 1881: un evento per troppo tempo dimenticato. Del resto, per molti, per troppi, via Santa Radegonda è solo una via del centro di Milano. E nemmeno una delle più note, data la modesta presenza di negozi di abiti e di scarpe…

 

Il “mito di Milano”, della città intraprendente in grado di “far da sé”, capace di operare al meglio nonostante il disinteresse e gli ostacoli più o meno mascherati frapposti da Roma, il mito della “capitale morale” contrapposto a quello della “capitale reale” che non esercita il suo compito può essere fatto originare proprio da questo evento.

A coniarlo fu Ruggero Bonghi, di Torre del Greco, direttore de “La Perseveranza”, un giornale nel quale pubblicava spesso lo stesso Colombo.

Il solito ambasciatore francese annotava: «becaup des nos administrations municipales pourraient puiser d’utiles renseignements dans l’Exposision de la ville de Milan»

A quanto pare, colpiva la presenza (già dal 1873, in anticipo dunque su Parigi, ma non su Lecce) degli orologi elettrici;

E poi il servizio di pulizia delle strade… Infine, last but not least, stupiva l’organizzazione del Corpo dei Pompieri: a detta dei più, era senz’altro a livello delle maggiori metropoli europee; Inoltre, rispetto alle 200.000 lire stanziate dal potere centrale, i promotori milanesi avevano aggiunto un 1.000.000 di lire…

Insomma, pur con tutte le difficoltà, la situazione, in quei primi anni ’80, appariva in movimento;

  • Il Poli andava alla grande;
  • Ernesto Breda iniziava la sua attività;
  • Nell’82 – l’evento decisivo – fu aperta la linea del Gottardo
  • A Milano si insediarono i rappresentanti delle compagnie ferroviarie tedesche (interessati a convogliare sulla nuova direttrice il traffico dal Mediterraneo all’Europa Centrale) e francesi (attenti al porto di Mrsiglia ad alla Lione – Parigi – Nord Europa)

Il Tecnomasio Italiano era passato sotto la guida scientifico – tecnica di uno dei pupilli di Brioschi: Bartolomeo Cabella;

Di lì a poco, a conferma della non occasionalità della scuola italiana di macchine elettriche, sarebbero nate le “dinamo Cabella”, cui si sarebbe “liberamente ispirato” Siemens per avviare la produzione industriale delle macchine dinamo elettriche a collettore;

 

Con la nascita della AEG, di Emil Rathenau, a Darmstadt era stato avviato un corso di Theoretische Elektrotechnik; E subito era stato pubblicato, a cura di Erasmus Kittler, allievo di von Helmholtz, il quale aveva chiamato a sé Michail Ossipowitsch Doliwo- Dobrowolski, Carl Hering e Waldemar Petersen, un Handbuch der Elektrotechnik .

 

Con “sorprendente” lungimiranza il trattato:

È diviso in due tomi: Starkstromtechnik (correnti forti, cioè potenza) e Schwachstromtechnik (correnti deboli, cioè segnale); Alle dinamo Cabella, costruite presso il Tecnomasio di Milano, riserva una trattazione specifica…

Superate le incertezze e le difficoltà iniziali, era stata doppiata la soglia di non ritorno: ora mancava “solo” il salto di qualità definitivo: quello espresso dalla messa a punto di una strategia di tipo:

  • Politico – economica,
  • Scientifico – tecnica,
  • Energetica, soprattutto energetica perché, “alla fin della licenza”, tutto passava da lì….

Posta al servizio dell’ intelligenza produttiva, l’elettricità, quella di Maxwell e di Ferraris, riletta da Colombo, sarebbe stata risposta giusta al momento giusto.

A concepire la strategia imprenditoriale milanese, a disegnarne un futuro che ancor oggi, nella sua essenza, costituisce il presente della città, fu un matematico – ingegnere – uomo politico – patriota – imprenditore milanese allievo di Brioschi, “l’uomo cifra”, di Codazza (l’allievo di
Mossotti, “the predecessor of Maxwell”, maestro di Ferraris)

Un appassionato studioso dell‘Opera di Leonardo, delle lettere e delle arti: Giuseppe Colombo;

Ma ora dobbiamo fare un micropasso indietro e vedere rapidamente come andarono le cose a proposito dell’elettricità.

Nell’età dell’acciaio la transizione dal vapore e dall’acqua in caduta all’elettricità avrebbe segnato la nascita dell’epoca moderna.

«Il est un agent puissant, obéissant, rapide, facile, qui se plie à tous les usages et qui règne en maître à mon bord. Tout se fait par lui. Il m’éclaire, il m’échauffe, il est l’âme de mes appareils mécaniques. Cet agent, c’est l’électricité».

 

L’elettricità

Il Settecento è coulombiano e dunque basato su macchine a strofinio e bottiglie di Leida; Le “masse”, newtonianamente, sono coinvolte in ragione della loro posizione; In uno spazio geometrico non coinvolto con l’evento, le azioni, un campo centrale con legge dell’inverso del quadrato, viaggiano con celerità infinita: la spazio è infinitamente rigido e non ha inerzia

Nel pelago misterioso, in accordo con l’ordine ed il rigore degli illuministi, Elettricità e magnetismo si adattano a vivere in universi corpuscolari distinti, newtoniani e non colloquianti: sono separati in casa. Con un problema non da poco:

Nell’intero spazio, un campo elettrico stazionario, come tale conservativo, non può dar luogo ad una conduzione stazionaria, come tale solenoidale.

Corre in soccorso il campo elettromotore voltiano E*.

Che, essendo rotazionale, fa tornare i conti: E rende possibile la conduzione, cioè il trasporto netto di carica.

È il primo colpo mortale all’illuminismo: Dentro la pila di “fuidi” ce ne sono più di uno, sono “diversi”, e tra loro si parlano tutti, altrimenti la pila non funzionerebbe…; Le masse non sono più newtonianamente messe in gioco in ragione della loro posizione, bensì del loro movimento; La pila consente sperimentazione sull’arco voltaico (ipotesi di illuminazione elettrica);

L’enigma inatteso. L’esperiemento di Orsted distrugge tutto l’Illuminismo:

 

Elettricità e magnetismo si parlano; Le masse intervengono in ragione non della loro posizione ma della loro velocità; Il campo non obbedisce alla legge dell’inverso del quadrato; Il campo non è centrale; Ha ragione la Naturephilosophie: il protagonista del fenomeno è lo spazio nel quale gli oggetti sono immersi: è una suggestione neocartesiana.

Nessuno se n’è accorto, ma in quel momento è nata la teoria delle macchine elettriche e sono poste le premesse per la II Rivoluzione Industriale. Il tentativo generoso di Ampère di salvare, attraverso newtoniana magnetoelettrici, dà risultati numericamente corretti che però metodologicamente (soprattutto le correnti amperiane nei magneti) non convincono.

Il gioco passa a Faraday ed alle sue linee di forza: l’azione diviene per contatto – l’attraverso lascia il posto al mediante e attraverso – e lo spazio diventa fisico.

Forse nessuno se n’è accorto, ma sono nati i motori, i generatori e trasformatori: per il vapore è solo questione di tempo. Sarà possibile sostituire la pila con i generatori e le turbine con i motori magnetoelettrici.

Per ora la generazione viene impiegata per indagare l’illuminazione elettrica; Anche se per ora l’arco voltaico e derivati (candele Jablockov) danno risultati assai poco soddisfacenti; La generazione elettrodinamica della forza per ora non è percepita;

Si pensa che la continua sia più adatta all’arco voltaico per cui Ampère introduce il collettore a lamelle che poi Pacinotti perfeziona aumentando il numero di lame. Pacinotti introduce anche il Pacinottifeld e mostra la reversibilità motore-generatore.

Intanto, dopo averne chiesto l’autorizzazione a Kelvin, Maxwell mette mano al pensiero di  Faraday, un pensiero affascinante e suggestivo ma concepito dal figlio di un fabbro che non conosce la matematica e che pertanto, pur essendo il più grande fisico sperimentale della storia, si pensa che partorisca solo idee metafisiche.

La sua trilogia, tra il 1856 ed il 1864, formalizzerà la Dynamical Theory, la più grande rivoluzione filosofica e fisico-matematica dell’800, la base di tutti i prodigi (purtroppo anche i cellulari) della scienza e della tecnologia attuale.

Nihil agit in distans nisi prius agit in medium.

I fenomeni elettromagnetici sono rappresentati da equazioni che, in termini di leggi ai vortici, ai pozzi ed alle sorgenti, formulano le classiche leggi di: Faraday e di Gauss;

È apportata poi da Maxwell una correzione alla legge di Ampère con quella che, in attesa di una verifica sperimentale considerata come “improbabile”, viene ironicamente classificata come una “metafora scientifica”: la corrente di spostamento;

Oltre che dalla conduzione, cioè dal trasporto netto di carica libera, cioè dal movimento, il campo magnetico può essere creato anche dal displacement (dalla deviazione dallo stato naturale di riposo) cioè dall’atto di moto, dal moto incipiente di una carica legata;

Poiché, secondo Maxwell, ciò accade anche nel vuoto, l’assenza di materia cessa di essere, in termini “meccanici”di rigidità e di inerzia, assenza di proprietà fisiche;

Il riduzionismo meccanicista in questo caso si scatena:

A classificare un fenomeno è allora, in termini di frequenza, il ruolo dello spostamento rispetto alla conduzione, dell’atto di moto rispetto al movimento:

Se la conduzione, assimilata ad un fenomeno viscoso, porta soluzioni in 1/r2 proprie del fenomeno diffusivo, il displacement, riconducibile alla deformazione di una molla, porta a soluzioni del tipo 1/r, proprie del fenomeno propagativo.

Solcato da linee di forza che si incurvano al procedere dell’evento, lo spazio si compromette dunque con il fenomeno: L’“attraverso” dell’azione a distanza lascia dunque il posto all’ “attraverso e mediante”  dell’azione per contatto.

La materia (vuoto compreso) trasferisce i propri poteri da punto a punto e da istante ad istante secondo una legge del tipo seguente:

 

Non resta allora, in ossequio al meccanicismo, che il molecular vortex, il modello meccanico di quel particolare vincolo anolonomo che è l’etere.

Nel 1873 Maxwell pubblica il Treatise. In realtà, per approdare ad una teoria maxwelliana completa e fruibile, compendiosa dunque dell’integrale primo delle equazione di Maxwell che, con Poynting, ne avrebbe formalizzato il bilancio energetico:

 

Occorre attendere gli anni ’80 e la prima metà degli anni ‘90. Il periodo dunque che va dai primi esperimenti di illuminazione in Piazza Duomo alla costruzione delle centrali di Paderno.

I pareri, in quegli anni, erano discordanti:

La prima volta che un lettore francese apre il libro di Maxwell, alla sua ammirazione si unisce innanzitutto un sentimento di fastidio, e non di rado di diffidenza. Solo dopo una prolungata frequentazione, e a costo di molti sforzi, questo sentimento finisce per dissiparsi. Qualche
eminente studioso, tuttavia, non arriva a sbarazzarsene mai. Perché le idee dello scienziato inglese trovano tanta difficoltà a diffondersi presso di noi? Probabilmente, perché la maggior parte dei francesi riceve un’educazione che li predispone ad apprezzare la precisione e la logica
più di ogni altra qualità.

H. Poincaré

Alla domanda «che cos’è la teoria di Maxwell?» non saprei dare risposta più concisa e definita di questa: la teoria di Maxwell è il sistema delle equazioni di Maxwell.

H. Hertz

Il grande ricercatore dell’elettrolisi Wilhelm Hittorf che aveva udito molto della nuova dottrina dell’elettricità cercò, già in tarda età, di studiare il Treatise di Maxwell ma non poté orientarsi attraverso il groviglio a lui estraneo di formule e di concetti. Egli cadde pertanto in uno stato di profonda depressione. I suoi colleghi di Münster lo persuasero a fare un viaggio nello Harz. Ma quando essi controllarono prima della partenza il suo baule, vi trovarono i due volumi del Treatise on Electricity and Magnetism di James Clerk Maxwell.

A. Heydweiller

Nel caso presente conviene citare direttamente lo stesso Colombo:

“… Il fatto è, invece, che l’elettrotecnica è forse la materia nella quale la parte scientifica ha il maggiore e quasi l’esclusivo predominio. I più grandi progressi sono dovuti alla teoria pura; senza gli studi di Hertz non avremmo la telegrafia senza fili di Marconi, come senza gli studi di Galileo Ferraris non avremmo i motori a campo rotante; le più riputate fabbriche di materiale elettrico sono quelle, e son poche, dirette o ispirate da distinti teoristi”.

Ma com’erano, in quegli anni, i rapporti tra scienza e tecnica? Si può affermare che la nascita della moderna ingegneria elettromagnetica scientifica sia sintetizzabile nel passaggio seguente:

Il settore applicativo fa il finalmente il necessario salto di qualità: ad occuparsi di “cose elettriche” non è più il solito praticone , ma un fisico matematico di alto profilo che usa consapevolmente, e con la necessaria maestria, la propria dottrina con scopi strettamente applicativi.

Rimovendo le scorie di un empirismo non più accettabile ed aggiungendo nel campo applicativo ciò che solo la teoria, con la sua chiarezza ed il suo rigore, può dare. Pagando però nel contempo tutte le conseguenze proprie di una Dynamical Theory che deve scontrarsi con le difficoltà proprie del concreto e del quotidiano; E per la quale, in particolare, ogni qualvolta si cercano strade nuove, scattano “ammonizioni” di questo tipo:

«Attemps of ordinary mortals to do better than Maxwell did must discouraged. Let us follow Maxwell as long as we can, then, when someone is born who is more profound than Maxwell, we will bow him».

Ben sapendo che dopo tutto: «Electrical engineering was born yesterday and had no long- standing tradition, no professional culture».

E non dimenticando mai che:

«The theory of the transformer described a device that does not exist in practise, but merely haunts as a phantom transformers the text- books and mathematical treatise on transformers»;

«Most theories of the induction motor were written only by theorist who never constructed a motor themselves and who have never seen a motor taken apart»,

«Phantom transmission lines circuit of uniformly distributed capacity and inductance was very different from the circuit existing in practice».

Ma vediamo proprio in Ferraris (scienziato ed ingegnere) il senso preciso di questa transizione: F

Ferraris conosce perfettamente Maxwell, Fa costante riferimento a Tait, Kelvin, Heaviside, Si basa sull’opera di J.J. Thomson, È il primo che – correttamente – deduce l’espressione p(t)=v(t)i(t) da Poynting, Se nel 1857 (7 anni prima, per via circuitale, di quanto Maxwell, fa per via campistica) Kirchhoff, studiando il TEM lungo una linea, arriva a calcolare una velocità dell’onda di tensione pari a quella della luce e va in una crisi pazzesca, è Ferraris che, nel 1883, per prendersi l’idoneità in atematica, riabilita quel lavoro in precedenza visto con diffidenza da tutti e la colloca nella giusta posizione che la Fisica Matematica gli assegna.

Nel 1864, con vent’anni di anticipo rispetto ai “praticoni”, Maxwell aveva già elaborato le equazioni del trasformatore:

Dopo di lui, per vent’anni c’è un misto allarmante di inventiva e di corbellerie; Accingendosi ad impostare la teoria del trasformatore (di Gaulard), Ferraris ha il merito di capire che deve ripartire da Maxwell;

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Dopo di che, lavorando con la prestigiosa Ditta Ganz di Budapest, aggiunge tutto quello che, di tecnico, Maxwell non ha fatto.

Ma il senso pieno della nascita dell’ingegneria elettrotecnica sta, aparità di conoscenze teoriche, nella lettura del modello del trasformatore: Ferraris, come Maxwell, punta all’equivalenza agli effetti esterni e, in ipotesi di linearità, scompone la misura dei flussi di porta in autoflussi e flussi mutui, Steinmetz, che punta invece, da costruttore, all’equivalenza agli effetti interni, scompone quegli stessi flussi in comune e disperso. Il livello delle conoscenze teoriche di base è il medesimo, la chiave di lettura è diversa.

 

È la nascita postmaxwelliana dell’Elettrotecnica Teorica. Steinmetz sostituisce il metodo (esterno) delle induttanze (di Maxwell) con il (suo) metodo (interno) di campo:

Ed ottiene così una prima parziale equivalenza interna:

Anche se poi, attraverso la bobina di Helmholtz:

Nel 1930 Weber dimostra che non l’approccio circuitale esterno, di tipo integrale, ma solo quello campistico interno, di tipo differenziale, può condurre alle “fonti del Clitunno”, alla reale configurazione del campo interno.

Può essere interessante cogliere il senso fisico- matematico di questa ingegneria ricostruendo il processo logico che porta Ferraris al campo rotante.

Le analogie macchine, tra il Teorema di Deprez ed il motore stellare dell’aereo del Barone Rosso, sono ovvie ed intriganti: Da fisico-matematico di alto profilo, Ferraris si basa, ancora una volta e come già nel caso del trasformatore, sulle equazioni di Maxwell e sull’unità elettricità –magnetismo – ottica che esse “prescrivono”).

In tal caso il regime è quasi stazionario:

per creare onde, non può dunque disporre della corrente di spostamento. Non gli resta allora che giocare sull’ottica di Fresnel. E tutto questo mostra la sua rigorosa formazione di fisico-matematico di rango.

L’idea di ottenere un campo magnetico rotante come sovrapposizione di due campi magnetici perpendicolari di uguale frequenza, e quindi di trovare un congegno per la trasformazione dell’energia elettromagnetica in forza motrice, superiore per semplicità tecnica ed efficienza al motore elettrico tradizionale, venne al F. nell’agosto 1885.

In effetti egli trasferì la nozione di polarizzazione circolare ottenuta con due polarizzazioni piane opportunamente sfasate, che interpretava il noto fenomeno ottico della polarizzazione della luce, al campo dell’elettricità, utilizzando cosi una feconda analogia fra ottica ed elettromagnetismo.

Se il campo rotante fu, per l’ingegner Ferraris, una meta voluta a valle del trasformatore, La sua attuazione – una precisa invenzione e non una fortuna ma occasionale scoperta – fu l’esito di una precisa conoscenza (la stessa che in Italia ebbe Righi ma che nessun altro ebbe) della Dynamical Theory; E rispetto a tale prodigio, lo stesso Steinmetz (sulla cui scrivania, debitamente tradotte, giungevano di volta in volta gli articoli di Ferraris) rimase sempre con le orecchie basse;

Dopo di che dedurre il campo Ferraris dalle equazioni di Maxwell è un gioco da ragazzi:

 

 

Agli effetti della “Milano Elettrica” gli eventi essenziali da prendere in considerazione sono tre:

L’Expo di Parigi 81: il grande sogno, l’illuminazione elettrica, grazie alla sostituzione dell’arco voltaico con la lampada ad incandescenza e l’impiego di dinamo più evolute (la Jumbo di Edison) diventa possibile; In realtà il sistema nasce con un vizio di forma: l’uso della corrente continua limita fortemente le distanze che si possono coprire per cui la scelta delle sorgenti primarie, dovendo essere compiuta in loco, è obbligata.

1884: l’esperimento di Torino – Lanzo, la prima trasmissione di potenza elettrica in alternata.

Al Valentino, una motrice a vapore Tosi aziona un alternatore Siemens il quale, a 760 g/m e 150 Hertz, alimenta due trasformatori Gaulard (teorizzati da Ferraris) e questi, lungo una linea parallela alla linea ferroviaria di 42 km, trasmettono una potenza di 10 kW con la quale alimentano alcune lampade poste al Valentino.

Grazie all’elevazione della tensione consentita dal trasformatore, potevano essere coperte distanze significative: la scelta dell’energia primaria, non essendo più nelle immediate vicinanza della generazione, non era più obbligata.

Nel 1883 all’Expo di Vienna Zipernowsky, Déri e Bláthy, della Ditta Ganz di Budapest, ripetono, in modo perfezionato l’esperimento di Lanzo avvalendosi di un tasformatore Ganz studiato dal Ferraris stesso, ed ottengono, sul monofase, successo pieno (resta il problema del parallelo degli alternatori).

Nel 1891 a Laufen si effettua il primo esperimento a tecnologia polifase. È il trionfo

Il più grande elettrotecnico della storia, anzi il padre stesso dell’Elettrotecnica, è Steinmetz. Con i suoi 11 trattati ed i suoi 250 articoli, all’interno della  fabbrica…, ha creato l’elettrotecnica. Il resto, tutto il resto, sono stati arzigogoli concorsuali. Per tacere delle sue molteplici altre attività:

Nel 1885 Steinmtez, matematico, filosofo, astronomo, etologo, consigliere politico di Lenin…, si trasferisce negli USA; Traumatizzato dallo stato delle “conoscenze locali”, si fa subito inviare dal padre, in Germania, una coppia del Trattato di Maxwell ed una copia del manuale di Kittler; Dopo di che inizia a svolgere la sua professione: lo Steinmetz, il lapicida, dell’elettromagnetismo dei praticoni saccenti;

Nel 1907 pubblica la sua opera più importante:

Rilettura, altrettanto rigorosa, in senso applicativo del Treatise, esso segna la nascita ufficiale, in senso strettamente postmaxwelliano, dell’ingegneria elettromagnetica scientifica; È il 1907: la Milano elettrica non ebbe dunque a disposizione tali competenze e dovette basarsi su altri livelli.

Torniamo dunque a Milano. Ora abbiamo tutti gli elementi e tutta la consapevolezza per esaminare: “La Milano Elettrica” nel periodo che va: Dall’Expo di Parigi del 1881; Passa attraverso Torino – Lanzo e Laufen; Chiude con le rapide di Paderno e, nel 1897, con la morte di Ferraris e la nascita di Bottani. Il 1898 non ci interessa; Nel 1897 Genova Cavalleria lascia la guarnigione di Milano per trasferirsi a Padova; Al suo posto subentrano i Lancieri di Milano; Che però, agli ordini di Bava-Beccaris, bivaccano, in assetto di guerra, in piazza Duomo;

E questo non è bene…

La Grande Industria richiede «masse operaie numerose, poco esigenti, facili ad irrigimentare», Essa può però svilupparsi solo laddove la dotazione di materia prime, di combustibile e di forza idraulica ne consentono l’insediamento; Detto questo, essa non costituisce però l’unica strada percorribile, Possono infatti prosperare anche produzioni «che richiedono un ambiente e condizioni affatto diverse da quelle che favoriscono lo sviluppo della grande manifattura».

Nell’impostare, all’indomani di Expo’81, la propria strategia, Milano avrebbe dovuto valorizzare (e non considerare invece come un limite) la intensificazione di quella “industria di dettaglio” che si era rivelata un’autentica vocazione cittadina; Dopo tutto una simile strategia era nella segno della continuità e si imperniava su precisa e complementare suddivisione dei ruoli tra area urbana ed area agricolo-manifatturiera;

In sostanza:

Fuori dalla città, utilizzando forza idraulica e mano d’opera sovrabbondante e a basso costo, si dovevano localizzare – pur mantenendone la direzione amministrativa e commerciale a Milano – le grandi industrie tessili (del lino e del cotone) e si doveva fare in modo che esse restassero strettamente integrate con il tessuto rurale che vi dominava.

Dentro la città, utilizzando forza motrice fornita dal vapore (e dunque, “nell’intenzion dell’autore”, non dalla elettricità…) si dovevano, per le industrie di qualità, usare le maestranze qualificate, organizzate in piccole e medie unità produttive, e largamente nel lavoro a domicilio.

Era una strategia particolarmente attenta ai risvolti sociali, attenta cioè a non favorire il formarsi di quelle «masse d’operai, che le grandi industrie agglomeravano nelle loro vaste e squallide sale, ospiti da non desiderare in una città soprattutto in epoche di crisi industriali e politiche»

Mentre invece la piccola industria era:

«Meno soggetta alle crisi ed il lavoro a domicilio, pel quale una parte della classe operaia addetta a simili industrie minori contribuisce alla ricchezza pubblica, pur restando fra le pareti domestiche, pur sottraendosi in questo modo all’influenza del lavoro in fabbrica, che allenta e scolorisce i vincoli della famiglia, è una forma del lavoro industriale. Che giova pure di favorire, perché è una garanzia di moralità e di pace: due elementi di cui una città popolosa ha un vivo bisogno in quest’epoca di rivoluzione economica e sociale»

Tenendo conto che «non bisogna mai scordare che una città può essere grande nel commercio come nell’industria». È con questo schema “moderato” che la Milano del sen.prof Colombo, ex garibaldino, si accinge ad affrontare il tornante degli anni ottanta. Naturalmente in tutto questo contesto, la pratica non sarebbe bastata più e sarebbe stato necessario affidare ad un’opportuna struttura il compito di diffondere quelle nozioni che potevano giovare al progresso dell’industria:

Tra le due le strade, «produzione di massa» e «specializzazione flessibile» Volendo evitare il grande agglomerato di opifici e la conseguente concentrazione di proletariato, Si sceglieva: Quella di attività manifatturiere su piccola- media scala, prevalentemente diretta a soddisfare le esigenze del consumo;

Si trattava di produzioni Miranti «a soddisfare alle molteplici esigenze che vivere civile, la cresciuta agiatezza ed il raffinamento prodotto dalla più diffusa cultura hanno creato in tutte le classi sociali» Il che abbisognava di una classe operaia intelligente, raffinata di generazione in generazione da un ambiente adatto, stimolata da quegli stessi bisogni a stimolare i quali essa lavora».

Colombo pensava dunque a «una popolazione operaia abile, abituata a comprendere le esigenze create dal benessere e dalla cultura» «forti case commerciali le quali, anche non avendo opifici propri, potessero alimentare le piccole fabbriche e sapessero dirigere la fabbricazione nel senso migliore sia per la qualità dei prodotti, sia per la maggior facilità di trovare uno sbocco all’interno e fuori»

Lo schema imprenditoriale è dunque acquisito, All’indomani dell’Expo ed alla vigilia dell’apertura del San Gottardo (ed all’inizio dell’espansione del periodo depretisiano), Milano si presenta al mondo italiano e a quello europeo come il centro principale del mercato interno.

Il problema a questo punto – e Colombo ne è più che consapevole – diviene energetico: Le risorse disponibili possono consentire l’attuazione di questo “schema dipolare”?

In realtà, alla vigilia dell’apertura del Gottardo, con i trionfi dell’Expo ’81, Colombo riconosceva come Milano e Torino fossero le due città industriali italiane più industrializzate, Ma, nel sottolineare questo fatto, egli non poteva non sottolineare, con rammarico, che «a Torino la forza idraulica […] è certo un eccellente elemento per farne una vera città industriale, a Milano quest’elemento manca si può dire quasi affatto»

In effetti a Milano il vero limite è il vincolo energetico, sia nell’acqua che nel vapore. Vediamolo nel dettaglio.

  • A Cardiff il carbone è venduto a 10-12 lire/tonnellata,
  • Giunto a Genova, vale già 25 lire/tonnellata,
  • Arrivato a Milano, costa 35 lire/tonnellata.

L’industriale milanese deve dunque sostenere i seguenti costi:

1 Cavallo ora:

  • 11 centesimi con macchine di grande potenza,
  • 27 centesimi con macchine di media potenza,
  • 39 centesimi con macchine di piccola potenza.

In effetti la produzione del vapore puntava a macchine di grande potenza: per le economie di scala conseguibili, per la concentrazione fisica della produzione in unità singole localizzate in poche decine di metri e dunque tali da evitare perdite alla distribuzione.

Il vapore era dunque adatto per le imprese di grande – media dimensione (quelle che Colombo scartava…); Non poteva dunque andare bene, nei disegni di Colombo, per i 20.000 minuscoli opifici che, nel 1880, in una miriade di infiniti laboratori infinitesimi, a conduzione familiare, con capitali modestissimi, con un bisogno modesto di forza motrice, ma con iniziativa vitale, mano d’opera abile e specializzata rispondevano alla domanda nazionale su arredamento, abbigliamento, igiene e così via.

In termini di vapore, in città erano installati: 5000 cavalli

  • 3000 cavalli erano però usati in modo diretto (tintorie, chimica, sapone, colla, filande, cartiere),
  • Il cavallo vapore usato come forza motrice assommava dunque a 2000 cavalli.
  • Quanto all’acqua motrice nel contado:
  • Si disponeva di 600 cavalli idraulici,
  • Solo 100 cavalli provenivano da “cadute interne”,
  • 200 cavalli, alla disperata, si ricavavano dal Naviglio Pavese,

Dunque:

  • Vapore inadatto,
  • Acqua insufficiente,

Non restava allora che passare al motore a combustione interna. Il suo impiego avrebbe svincolato la produzione distribuita (custode pensosa dell’equilibrio agricolo – commerciale – manifatturiero e dei malesseri sociali indotti dalla grande massificazione) dal vapore e dell’acqua.

Sarebbe stata la risposta ideale in quanto avrebbe consentito: il frazionamento della potenza con rendimenti accettabili, il funzionamento a carico parzializzato, Il funzionamento in automatico non bisognoso di sorveglianza.

Non restava dunque che il ciclo Otto. Con un particolare:

  • A Torino la produzione consorziale del gas si traduceva in un costo di 20 centesimi /mc.
  • A Milano la produzione monopolizzata dell’ “Union des gaz” (postulato un non credibile medesimo potere calorico unitario) era di 36 censtesimi/mc: quasi il doppio!

Si pensò di prelevare l’acqua dalle montagne lecchesi e di trasportarla a Milano in minuscole condotte forzate per piccoli opifici e per usi domestici: acqua a 12 atmosfere per minuscole turbine da 8-9 cavalli; Poi, per fortuna, il “diritto di prelazione degli impianti fognari” fece sì che l’acqua fosse impiegata per scopi sanitari…

In conclusione la situazione era la seguente:

  • 11.700 Cavalli di origine termica,
  • 775 di origine idraulica,
  • 2564 impiegati in ambito metallurgico e meccanico,
  • 1602 nell’industria tessile,
  • 1366 nell’industria alimentare,
  • 924 nella chimica,
  • 725 nel settore tipografico e cartario,
  • 3509 in “industrie diverse”.

È a questo punto che la figura di Colombo, già artefice dell’assetto imprenditoriale milanese, davanti alle difficoltà invalicabili frapposte dalla inadeguatezza delle risorse energetiche, entra in gioco come “ingegnere energetico”.

 

L’illuminazione a gas non soddisfa:

  • Luce fastidiosa,
  • Fughe possibili di gas,
  • Frequenti incendi.

Vi era poi il problema di un costo del gas proibitivo e monopolizzato; Le lampade ad arco voltaico, anche nella versione Jablockov che era compatibile con l’alternata, erano proibitiva;

Con la loro potenza avrebbero sottratto le città all’oscurità ed avrebbero così risolto il problema della malavita notturna (beata ingenuità…), Il contrasto tra un’intollerabile chiarore nelle immediate vicinanze ed una sostanziale zona di forte penombra a distanza non era tollerabile; La luce era fortemente pulsante; Gli elettrodi si consumavano in poche ore per cui si aveva anche il problema di mettere a punto complesse apparecchiature meccaniche di controllo per gestire gli elettrodi e la costanza dello spazio spinterometrico.

Il 1° marzo 1877 il Prof. Colombo fa quattro conti: Egli calcola che, per un’ora di illuminazione elettrica ad arco di Piazza Duomo, con quattro dinamo Gramme mosse da altrettante motrici a vapore Tosi, a parità dell’esito di becchi a gas Carcel, ci sarebbe stata una spesa di 9,50 Lire/h, mentre con il gas la spesa sarebbe stata di 11,76 Lire/h.

La differenza sarebbe stata ancora più significativa se, al posto del vapore, fosse stato possibile usare l’acqua del contado, ma questo non era possibile perché l’acqua non era trasportabile ed il raggio d’azione della corrente continua, valutato in 600 metri, era proibitivo,
Fino al Torino – Lanzo di Ferraris ed alla versione a Vienna di Zipernowsky la scelta era obbligata.

 

Le cose non vanno bene. Leggiamo che cosa scrive Colombo a proposito dell’esperimento di Piazza Duomo – 1876, con locomobili e macchine Gramme di Cabella, con una “potenzialità” pari a 500 fiammelle.

«…Questo sistema di illuminazione non ha soddisfatto nessuno. Non piacque la qualità della luce; ad onta che ci trovassimo in carnovale, il faro di piazza del Duomo pareva fatto per ispirare le idee di quaresima. Le signore si lagnavano in particolar modo che quella luce desse ai loro volti un colore spettrale e, naturalmente, l’opinione degli uomini era notevolmente influenzata dal loro parere; era quindi, nel giudizio dell’opinione pubblica, ancora molto migliore la luce a gas, più tenue e facilmente distribuibile, coll’aumento del numero dei fanali, senza un eccessivo dispendio».

Con buona sostanza, più che convinto assertore dell’illuminazione elettrica, Colombo crede ancora nelle Jablochkoff; Nel frattempo Edison sta cercando strade nuove legate all’uso dell’incandescenza di un opportuno filamento; E sulla base di tali esiti presenta i suoi lavori a Parigi – 1881,
Ma Colombo è storno, sta sulle sue e decide di dare enfasi, tra le magie di Edison, al grammofono. E il suo “compare”, Ferraris, giudica le dinamo Hopkinson – Edison (una vera negazione della teoria dei cicuiti magnetici: altro che Cabella!) «l’insegnamento della disfatta».

Colombo ha due problemi: l’illuminazione e l’energia necessaria al suo assetto produttivo.

Comprese le potenzialità della lampada ad incandescenza di Edison, capisce che è la soluzione che va cercando, E si butta: scrive, pubblica, tiene conferenze, sensiblizza, cerca di coinvolgere i politicanti di turno desiderosi di correre in soccorso del vincitore e i Paperon de’ Paperoni che si lasciano acchiappare.

Limitiamoci, tra le infinite, a due citazioni:

«[…] verrà un giorno, e non deve essere lontano, in cui il calore e la forza si potranno raccogliere e trasportare come una merce qualunque; si può esagerare la difficoltà di arrivarvi, ma non è permesso di negarne la possibilità; nello stato attuale della scienza e dell’industria non è più ormai che una questione di tempo.»

«[…] ora più che mai si può vagheggiare la realizzazione di quel grande ideale della meccanica moderna, che è la distribuzione a domicilio dell’energia sotto tutte le forme: sotto forma di forza, di calore, di luce».

Ad Expo-Parigi-1881 chiuso, Colombo torna e contatta Deprez, l’organizzatore; Riesce a portare a casa una dinamo Z da 60 lampade e una locomobile: quanto basta per iniziare la sperimentazione; Per applicare le procedure deve ottenere l’autorizzazione della “Société Edison” ; Ma questa diffida dell’ “italiano Colombo” e prende tempo;

Dopo di che manda uno dei suoi funzionari a Milano, con Colombo, formalmente per collaborare agli esperimenti, in realtà per allupare i “soliti italiani”.

Sul piano personale il sen. prof. Colombo, futuro ministro di Sua Maestà, futuro Rettore, gentiluomo della miglior borghesia colta e raffinata milanese, supera l’esame a pieni voti.

  • Quanto agli esperimenti, si va alla grande:
  • 11- febbraio -1882: il ridotto della Scala;
  • 16 – febbraio -1882: il Biffi – Scala;
  • Il 4 – settembre -1882 Colombo, ospite dell’amico Edison, assiste all’inaugurazione della prima centrale del mondo: quella di New York – Pearl Street,
  • Dopo di che dettaglia con Edison il progetto che lui stesso ha già fatto a Milano, ne accetta le correzioni del “mago” ed ordina le macchine: nascerà la prima centrale d’Europa;

Responsabile dell’ingegneria sarà, trasferito a Milano, il braccio destro dello stesso Edison:J.W. Lieb.

 

Sarà affiancato da tre giovani “politecnici”: Angelo Bertini, Luigi de Andreis, Carlo Monti.

13-novembre-1882: servizio dimostrativo con piccola dinamo Edison per illuminare portici e negozi settentrionali di Piazza Duomo,

28-giugno-1883: servizio regolare: quattro dinamo Jumbo da 10 kW e 125 V, costruite da Edison e portare ben presto a sei.

20 – settembre: si illuminano piazza del Duomo, piazza della Scala, teatro Manzoni;

26 – dicembre: illuminazione della Scala nel giorno dell’inaugurazione della Stagione Lirica;

Utenti altri: negozi della Galleria;

Da dicembre il servizio è giorno e notte;

8 – luglio – 1885: illuminazione pubblica con lampade ad arco di Piazza Duomo, Galleria Vittorio, Piazza della Scala; 20-maggio-1886: a seguito del Torino- Lanzo, trasmissione a distanza, col sistema Zipernowsky-Deri-Blathy della Ditta Ganz di Budapest teorizzato da Ferraris: si illumina il Teatro dal Verme;

 

23-febbraio.1887: la Edison forma una convenzione con il Comune per l’illuminazione elettrica con lampade ad incandescenza di tutta la città. Via via modificata, la Centrale resterà in servizio fino al 1926, quando sarà abbattuta per lasciare il posto all’attuale Teatro Odeon.

Andiamo a rivederla

Grazie a Colombo, al ruolo scientifico ed imprenditoriale che seppe giocare, ed al suo impiego dell’elettricità, il vincolo energetico, ritenuto prima insuperabile, poté essere aggirato. Il successivo sviluppo, proprio grazie alle potenzialità dell’elettricità, portò però ad un imponente sviluppo dell’industria che, seppur solo inizialmente, si sviluppò secondo lo schema diversificato per piccole imprese voluto da Colombo. La mancanza – per ora – di competenze e gli elevati costi del combustibile (25 centesimi dopo la riduzione, rendevano il costo del cavallo elettrico quasi doppio rispetto a quello termico prodotto dal gas) impose all’utenza di restare confinata nei teatri, ristoranti, hotel, circoli, grandi magazzini, negozi ed altri esercizi pubblici; Pur con le elevate tariffe, non si riuscì a raggiungere l’equilibrio tra costi e ricavi. Per il percorso che seppe indicare,  l’esperienza fu tuttavia cruciale.

Se, sotto il profilo della produzione e della distribuzione del lavoro elettrico, l’esperienza milanese del Sistema Edison si rivelò molto simile a quella omologa dei paesi anglosassoni, non altrettanto accadde sotto il profilo della dinamica imprenditoriale e delle successive strategie aziendali.

Nell’arco di pochi anni dall’inaugurazione delle rispettive centrali di produzione dell’energia, la società americana, gestita dall’Edison e quella tedesca, gestita da Emil Rathenau, diversificarono la produzione, si convertirono in società elettromeccaniche e diedero vita alla GE (General Electric Company) ed alla AEG (Allgemeine Elektrizitäts – Gesellschaft che non tardarono ad affermarsi come colossi dell’Elettrotecnica.

Non così per la Edison di Milano. È pur vero che, per innestare un colosso elettrico, si sarebbe dovuti partire da un’industria meccanica milanese che certo non era paragonabile a quella Usa e soprattutto tedesca, Ma è anche vero che, quando Colombo propose in quest’ottica l’acquisizione del Tecnomasio come base su cui innestare questo progetto, la sua proposta fu bocciata dalle banche che giudicarono la produzione di Cabella troppo “aleatoria”. Ed il risultato fu che l’Edison rimase l’Edison ed Il Tecnoamsio passò di lì a poco nelle mani dell’elvetica Brown Boveri.

Va anche osservato che in quel momento di così alta innovazione il grado di obsolescenza delle apparecchiature e delle idee era altissimo e richiedeva a monte ben altre risorse e ben altre competenza, Il sistema Edison aveva risolto il problema elettrico con l’idea di centrale, ma, basandosi sulla corrente continua, era in realtà, come la Fortezza Bastiani del “Deserto dei Tartari”, un avamposto sul nulla.

Ma ormai l’alternata di Torino-Lanzo ed il campo Ferraris cambiano le regole del gioco; Sia in termini di distanze copribili che di sostituzione del vapore col campo rotante. In attesa di Laufen, nel 1889, la Edison chiede la concessione di una derivazione d’acqua presso le rapide di Paderno.

Potenza in “luce”: 70.000-80.000 lampade. L’originario progetto era di 5.010 CV ma uno successivo del 1892 arrivava già a 8.220, portando la porata a 45 mc/s i 30 precedenti: si generavano 13.500 CV e ne giungevano 9500. La centrale sull’Adda fu il trionfo finale dell’elettricità;

La tecnologia trifase faceva del sogno di Colombo una realtà possibile.

Restava l’uso dell’elettricità per la trazione. Si era passati dalla trazione animale a quella a vapore, ma non bastava, Ed il piano di colombo delle unità separate e distinte richiedeva invece un trasporto di massa capillare, Il primo interesse manifestato dall’Edison risale al 1887, mentre ancora negli Usa l’alimentazione tramite filo aereo non soddisfaceva e si ricorreva agli accumulatori ed i motori erano ancora lontani dagli standard necessari.

Nel 1892, in previsione della scadenza, nel 1896, della concessione delle tramvie a cavalli, la Edison chiese di elettrificare un apposta linea a titolo di sperimentazione, Il problema era ancora quello energetico, Tanto più che ancora nel 1894 si pensava che il compito delle centrali fosse solo quello di produrre energia per la sola illuminazione. La linea sperimentale fu realizzata : 3 km tra piazza del Duomo, la Stazione Nord e corso Sempione, Entrò in servizio il I novembre 1893 e riscosse ampi consensi: nei primi due mesi di esercizio si ebbero 367.943 passeggeri che nel 1894 divennero 2.650.000.

Nel 1895 iniziano i lavori per Paderno: Ferraris per la parte elettrica, Saldini per la parte idraulica, Ponzio per le turbine, Per le tramvie nel 1896 viene avviata la costruzione di una centrale termoelettrica a Porta Volta che entra in servizio nel 1897; Al volgere del nuovo secolo la
distribuzione trifase era già di 140 km.

L’utilizzo dell’energia per forza motrice procedette con celerità:

1896: 35 motori per una potenza di 51 kW, 1897: 94 motori per una potenza di 132 kW,

1901: 2716 motori per 8502 kW,

Nel 1898 la centrale di Paderno era a regime e tutta la sua energia prodotta era utilizzata dalla Città.

In conclusione:

«O io mi inganno grandemente, o l’applicazione dell’elettricità alla trasmissione della forza a grandi distanze rappresenta per l’Italia un fatto di importanza così straordinaria che l’immaginazione più fervida difficilmente potrebbe prevederne tutte le conseguenze. È un fatto che può mutare completamente la faccia del Paese […].

G. Colombo.

Restava un sogno: affidare ai “cucciolotti elettromagnetici” di oggi la “Grande Elettricità” di Milano.

Solo nel 1887 però, a Milano, grazie alla cospicua donazione di Carlo Erba, si ha concretamente, con la IEICE, la prima struttura organizzativa stabile. Subito dopo, nel 1888, il ministero dell’agricoltura, da cui dipende il Museo Industriale di Torino, rende infine istituzionale anche il corso del Ferraris già attivato nel 188.

Del tutto estranea all’ottusa miopia di un potere centrale totalmente isolato dalla realtà industriale del Paese e come tale inevitabilmente rigido nella gestione e nell’innovazione degli insegnamenti, la donazione di Carlo Erba costituisce la precisa conferma di come, in quegli anni, alcuni gruppi imprenditoriali locali, certo i più illuminati, vivano come sempre meno accettabile lo sfasamento temporale percepibile tra i bisogni tecnico-scientifici espressi da una realtà imprenditoriale in fase di rapida espansione e l’effettiva evoluzione della formazione scientifica programmata invece dal potere ministeriale centrale. E di come, oggettivamente, il loro intervento risulti, agli effetti della domanda di competenze da parte dell’industria, cruciale a tutti gli effetti.

Indimenticabile la lettera di Erba all’amico Brioschi: è la sintesi estrema del II Risorgimento.